Le ultime ore di Sara Ruschi, il collega sconvolto: "Le avevo detto di fuggire”

Lo chef che lavorava con Sara racconta: "Una persona straordinaria". Ma aveva un presentimento. "Il sorriso spento, temevamo la picchiasse".

Arezzo, 15 aprile 2023 – "La conosco da quando aveva dodici anni, non posso credere sia successo proprio a lei". Amanullah Kazi non è solo lo chef dell’albergo che ha diviso con Sara le ultime ore di lavoro in cucina; è sopratutto un amico di famiglia. Si erano conosciuti venticinque anni fa sul pianerottolo di casa, perché lui all’epoca viveva in un appartamento nello stesso palazzo dei Ruschi.

"Sara era una ragazzina, mamma Brunetta è stata generosa con me, mi ha aiutato, io avevo 22 anni", dice lo chef arrivato dal Bangladesh e oggi padre di due figli, moglie e famiglia costruita con sacrificio e dedizione. Oggi è un cittadino italiano e lo rivendica con fierezza raccontando la sua esperienza di immigrato integrato nella comunità. In quel palazzo a Case nuove di Ceciliano scatta un’empatia che poi diventa amicizia. "Oltre a Brunetta, anche il marito Enzo è stato sempre disponibile e cordiale". Della madre di Sara, ricorda "il sorriso" e quella volta che "appena entrato nell’appartamento, non avevo il riscaldamento in attesa delle volture delle utenze. Brunetta mi portò un termoconvettore per riscaldarmi".

Il lavoro nella ristorazione e il legame con Sara che cresce e dieci anni fa si trasforma nell’opportunità di un’occupazione stabile, un’àncora per lei che aveva due figli da accudire. "Sono stato io a portare Sara all’Hotel Park. Ho parlato con i proprietari dell’albergo, persone molto brave, che cercavano personale e poi le ho proposto di venire qui. Lei ha accettato, si è trovata subito bene con tutti. Ha fatto due stagioni e con impegno si è conquistata il contratto a tempo indeterminato", racconta lo chef che vive a Policiano con la moglie e due figli, uno dei quali ha la stessa età del figlio di Sara: "Sono amici, si sentono e qualche volta si frequentano. Con Sara e le nostre famiglie abbiamo passato giornate tutti insieme, piccole gite fuori porta". Come quella volta "alla cascata di Giovi, un momento trascorso in allegria, forse uno dei pochi nella vita di Sara.

"Il suo volto si era intristito soprattutto negli ultimi cinque mesi. Lei non parlava molto della sua condizione familiare, ma si capiva che soffriva il rapporto con il compagno" che nelle gite fuori porta era "allegro e tranquillo", ma forse dentro casa cambiava atteggiamento, "fino ad alzare le mani. Sara era taciturna, ma si vedeva che patìva il rapporto con quest’uomo nullafacente. Era lei che tirava avanti la famiglia e aveva un carattere forte". Quel volto tirato e "un fisico dimagrito" erano campanelli di allarme, per lui che l’aveva vista crescere, diventare donna e madre. "Le avevo consigliato di lasciare il compagno nella loro casa e di trasferirsi con i figli dai genitori per sicurezza, almeno fino a quando le acque non si fossero calmate. Noi tutti qui, eravamo preoccupati per lei, temevamo che le mettesse le mani addosso".

Ma per Sara il senso della famiglia era più forte di quell’uomo prepotente, talvolta violento. "Diceva che non se la sentiva di fare questo passo", racconta Amanullah con la voce strozzata in gola dal dolore: "Ieri sono passato dalla casa di Sara, non ci credevo... Poi sono andato a Ceciliano per incontrare il padre e i figli, ma non li ho trovati. È una tragedia immensa. Noi colleghi siamo affranti. Tutti volevamo molto bene a Sara", sussurra tra le lacrime. Nella cucina dove da giovedì lavora solo, ci sono due quadretti appesi alle pareti a cristallizzare i momenti belli: uno incornicia una foto di Amanullah davanti a un pentolone di ravioli, l’altra un’immagine di Sara con il copricapo da chef e una grande torta che sta decorando. "Era pasticcera, molto brava e fiera dei suoi dolci. Sara era speciale".