LILETTA
Cronaca

Le tavolette del ’300 tornate dal "freddo" fanno riscoprire il maestro Andrea Di Nerio

Appartenevano a un collezionista tedesco sopravvissuto al nazismo ed espropriato dai russi. Come i dipinti sono arrivati al Medioevale

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Fornasari

Gli studi sul Trecento aretino portati avanti da Isabella Droandi negli ultimi anni hanno fatto sì che ad Arezzo siano tornate tre tavolette di Andrea di Nerio, artista operante in città nei decenni centrali del XIV secolo e la cui identità storica è stata riscoperta grazie alla cripto-firma “ANDREA F”, individuata da Anna Maria Maetzke e dal restauratore Andrea Rothe nel 1974 nell’Annunciazione, oggi nel Museo Diocesano di Arezzo, ma proveniente dal trecentesco oratorio della Santissima Annunziata e databile intorno al 1348-1350.

Noto prima della scoperta della firma solo da un documento pubblicato da Ubaldo Pasqui nel 1880 relativo al rogito della decorazione delle navatelle del Duomo di Arezzo risalente al 1341- e realizzata in collaborazione con un certo Balduccio di Cecco-, Andrea di Nerio oggi può essere definito una delle personalità principali del Trecento in Arezzo, oltre che maestro del celebre Spinello Aretino. Già molto affermato intorno al 1331, anno in cui fu incaricato dal presbitero Goro Isacci di dipingere una cappella da poco edificata nella Pieve di Santa Maria, Andrea è oggi riconosciuto come autore di un ricco numero di dipinti, tra cui anche la Vergine col Bambino e le Storie dei Santi Cristoforo e Giacomo Maggiore nella cappella Bertoldini in Duomo, databile ai primi anni Quaranta.

Egli è stato attivo fino agli anni Ottanta-risulta morto nel 1387- e la sua evidentemente intensa produzione si è svolta parallelamente a quella del Maestro del Vescovado, figura che da Andrea di Nerio risulta differente, anche se prossima e per alcuni individuabile proprio in Balduccio di Cecco, ipotesi suggestiva, ma non documentabile. In Pieve, dove gli affreschi sopra menzionati sono andati perduti, è ancora oggi visibile un’opera di Andrea di Nerio, forse riconducibile ad un’altra committenza. Si tratta dell’affresco con i Santi Francesco e Domenico sul pilastro della zona presbiteriale. E’ questo testimonianza dell’influenza che su lui è stata esercitata dal fiorentino Buffalmacco, artista giottesco attivo in Arezzo al servizio del vescovo Tarlati. Come sottolineato da Roberto Bartalini, Andrea di Nerio mette in scena “personaggi dai volti irregolari, di una bellezza un po’strana con i loro nasi spioventi e i profili puntuti”.

Molte sono le opere che di Andrea di Nerio sono state individuate anche all’estero, iniziando dalla Natività di San Giovanni al Petit Palais di Avignone, tavola che nel 1970 dette avvio all’individuazione di un gruppo di dipinti che Pier Paolo Donati attribuì al Maestro della Natività del Battista, oggi restituite alla maturità di Andrea, da lui raggiunta nel corso degli anni Trenta e Quaranta del Trecento. Anche ad Arezzo, come nel resto di Europa, a seguito della grande riscoperta dei cosiddetti primitivi, tra la fine del Settecento fino ai primi anni del Novecento, ha avuto inizio la diaspora di molti dipinti su tavola del Duecento e Trecento, prodotti in città e nel territorio. Grande cosa è stata riportare a casa le tre preziose tavolette raffiguranti l’Andata al Calvario, la Crocifissione e la Deposizione della Croce che, conosciute prima d’ora solo attraverso vecchie foto in bianco e nero del Kunsthistorisches Institut di Firenze e presentate ufficialmente in città il 24 ottobre, sono ora visibili presso il Museo Nazionale di Arte Medievale e Moderna grazie al suo direttore Michele Loffredo.

Stando alla ricostruzione fatta nel 1970 da Donati le tre tavolette facevano parte di un paliotto, oggi disperso, composto da nove storie sormontate da tre piccole cuspidi, che lo studioso datava agli anni Ottanta del Trecento. Diversa nel 1985 l’opinione di Miklos Boskovitz, che modificando al sequenza narrativa e quindi anche la posizione delle tre tavolette all’interno del ricostruito paliotto dedicato alla Vergine Maria e alla Passione di Cristo, anticipava la datazione al 1365-1375.Le tre tavolette, sono state acquistate dallo Stato Italiano grazie all’impegno di Stefano Casciu, direttore del Polo Museale della Toscana, cui sono state proposte da Isabella Droandi, che a sua volta era stata contattata dalla casa d’asta di Monaco di Baviera, Karl & Faber.

Quest’ultima aveva bisogno da parte della studiosa di un parere a loro riguardo, dal momento che le avevano avuto in conto vendita dalla loro anziana proprietaria, erede, sebbene con diverso cognome, di Carl Neumann, celebre collezionista, morto nel 1966. Il rapporto tra la Droandi e la casa d’asta tedesca è stato mediato da Pasquale Episcopo, studioso, nato a Foggia, ma residente a Monaco da più di venti anni, oltre che consulente per la Kar& Faber con l’Italia, giornalista e docente di italiano all’università di Monaco. Le tre tavolette, che furono acquistate come opera di Taddeo Gaddi a Dusseldorf nel 1931, provengono, come detto, dalla collezione di Carl Neumann, di cui Episcopo si sta occupando. Liberale, imprenditore del tessile di Barmen, poi Wuppertal, appassionato di arte, Neumann ebbe un’importante collezione, tra cui un Monet, quadri di Cezanne e di Van Gogh. Durante la guerra egli riuscì a salvare, insieme ai Van Gogh, le tre tavolette trasferendole a Zittau, al confine tedesco con la Polonia e la Cecoslovacchia, dove egli aveva una fabbrica. Nel 1945 Neumann perse le sue fabbriche che, salvate dalla guerra e mantenute in una relativa indipendenza rispetto al nazismo, furono poi espropriate dai sovietici. Dopo il conflitto bellico, egli si impegno civilmente nell’aiuto ai profughi e agli sfollati. Fu costretto a vendere i Van Gogh per riprendere la propria attività, ricevendo incarichi importanti nell’industria tedesca.