Le conseguenze della guerra "Bosnia Express" all’Eden

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E’ ambientato in Bosnia e Erzegovina fra le città di Sarajevo, Tuzla, Srebrenica, Konjic e Mostar l’ultimo film del regista Massimo D’Orzi "Bosnia Express" che lui stesso presenterà stasera alle 21 al cinema Eden di Arezzo e tratto dall’omonimo libro di Luca Leone su "politica, religione, nazionalismo e povertà in quel che resta della porta d’Oriente" e il suo interminabile dopoguerra. Un treno attraversa lento il cuore della Bosnia Erzegovina, la macchina da presa indaga dietro il ritrovato ordine delle cose; una scuola di danza, i corridoi della facoltà di pedagogia islamica, le aule di musica rock, la collina di Medjugorjie, sono i luoghi da cui i personaggi muovono l’inchiesta.

La ricognizione di uno straniero in un ex teatro di guerra che tenta di catturare l’imprendibile: le cause dello scoppio di un conflitto cruento che ha sbriciolato generazioni e sancito lacerazioni. E le sue conseguenze. Le soste in fabbriche abbandonate, abitazioni private, cimiteri, quartieri, luoghi di culto: una casa di Sarajevo che è stata quartier generale per i reporter da tutto il mondo, una moschea dove due amiche si confrontano sul futuro, le voci di intellettuali, esponenti religiosi e militari, ma soprattutto artisti: dei "non famosi" che attraverso la musica, il canto, il balletto, il teatro, cercano una catarsi da un passato, ancora troppo vicino, di morte e violenza cieca.

Il racconto di un regista e autore che da anni lavora con i cortometraggi dall’intevista a Bellocchio "l’immagine della ribellione" a "La mano rossa" e il premiato " La rosa più bella del nostro giardino", da "Adisa o la storia dei mille anni" a "Sàmara" fino al documentario "Ombre di luce" ambientato all’interno dell’Università La Sapienza di Roma e "Ribelli!" una co-regia con Paola Traverso. Nel 2012 D’Orzi è lo sceneggiatore, il regista e il produttore di un documentario sulla comunità dei rom kaloperi che vivono nelle regioni montuose della Bosnia centrale, mostrandone abitudini e tradizioni.

"Avevo un conto in sospeso con la Bosnia dopo esserci stato nel 1996 insieme ad un gruppo di servizi umanitari e poi nuovamente nel 2004 - spiega D’Orzi - nel 1996 arrivai in una Mostar distrutta, senza luce, sprofondata nel medioevo, dove si camminava con il rischio di calpestare una mina. Non avrei mai immaginato si potesse arrivare a tanto. Un viaggio che mi ha segnato profondamente. In quell’occasione incontrai molte persone testimoni di quella guerra. Incontrai anche diverse donne, molte di loro erano state vittime di stupro e ogni tipo di violenza. Mi ricordo in particolare Ana, aveva gli occhi di vetro, non sorrideva più".

Silvia Bardi