La strage degli innocenti. Il parroco martire e la piccola Vittoria salva nella soffitta

Il 29 giugno 1944 i nazisti fecero 244 morti fra Civitella, Cornia e San Pancrazio. Il paese era affollato per il patrono: le storie di don Lazzeri e dei Lammioni.

La strage degli innocenti. Il parroco martire e la piccola Vittoria salva nella soffitta

La strage degli innocenti. Il parroco martire e la piccola Vittoria salva nella soffitta

Boni

La linea della vita che attraversava la mano sinistra del babbo le era sempre apparsa come un solco lungo e profondo. Vittoria si divertiva ad accarezzarla con il dito indice, quella linea che girava, sorridendo coi suoi cinque anni. Lo pensò anche il mattino del 29 giugno 1944, distesa in cima al tetto della loro casa, nel centro storico di Civitella, tra le tegole rosse, mentre stringeva quella mano come la cosa più preziosa che le era rimasta.

Respirava forte, Vittoria, con gli occhi spalancati, in silenzio, fissava il cielo terso imbrattato da una colonna altissima di fumo nero che proveniva dalle case del paese in fiamme. Il babbo stringeva la sua mano, piangeva senza farsi vedere e senza fare rumore e guardava le nuvole. Erano una famiglia di cinque persone i Lammioni: padre, madre e tre sorelline.

Quando i nazisti della Hermann Goering avevano iniziato il massacro, all’alba di quel maledetto giorno di San Pietro e Paolo, patrono del paese, uccidendo e rastrellando tutti gli uomini che trovavano risalendo dal basso verso il villaggio fino alla cima della rocca, loro non avevano aperto la porta e si erano rifugiati tutti in soffitta, sopra al soppalco di legno.

Non immaginavano che i nazisti, oltre a rastrellare e uccidere tutti gli uomini che trovavano, gettavano anche bombe incendiarie nelle case. Bombe che uccisero la mamma e le due sorelline di Vittoria. Lei no, si era salvata, per la mano del babbo, aggrappata alla linea della vita, in cima a quel tetto. Loro ora equilibristi su quella linea divenuta sottilissima: sopra l’eterno, sotto l’inferno.

Il paese era affollato per la festa dei patroni, i nazisti lo sapevano e con la complicità di alcuni repubblichini proprio quella mattina avevano deciso di far scattare la macchina della morte probabilmente da qualche giorno. Il 18 giugno, infatti, c’era stato un brutto scontro nel circolo tra 4 tedeschi che giocavano a carte e i partigiani della banda Renzino. Alla fine, oltre alla radio gracchiante accesa, nella stanza, erano rimasti a terra senza vita due nazisti, mentre gli altri due, feriti, erano riusciti a scappare.

Così quel 29 giugno, dopo giorni di tensione altissima, era scattato il massacro indiscriminato di civili. I soldati della Goering si mossero dopo le 5 e in alcuni casi uccisero gli uomini direttamente nelle case, per lo più però raccolsero la popolazione nella piazza davanti all’antica cisterna e la divisero per sesso e per età: le donne e i bambini furono spinti fuori dall’abitato, in direzione di Poggiali, gli uomini, radunati in gruppi di cinque, furono portati sul retro della scuola e colpiti da un colpo di pistola alla nuca; solo in due riuscirono a fuggire.

Anche Don Lazzeri, che stava per apprestarsi a cantare la messa, pur avendo offerto ai tedeschi la sua vita in cambio di quella dei parrocchiani, venne ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Ma l’apocalisse con quei 149 caduti di Civitella non si placò. A seguire furono colpiti gli abitati di Cornia, dove vennero massacrati indistintamente donne e bambini, Morcaggiolo, Gebbia, Burrone e Solaria.

La stessa tattica, in contemporanea, venne attuata a San Pancrazio, nel comune di Bucine, dove vennero uccise 71 persone. L’operazione coinvolse in un solo giorno 244 vittime, mentre cinque giorni dopo gli stessi perpetratori si accanirono contro gli abitanti del comune di Cavriglia, dove trucidarono altri 192 civili inermi.

La Toscana e la provincia di Arezzo in particolare vennero falcidiate dagli eccidi e dalle stragi nazifasciste: Vallucciole, Civitella, San Pancrazio, Castelnuovo dei Sabbioni, Meleto, Massa, San Martino, San Severo, San Polo e molti altri luoghi vennero colpiti e distrutti. La maggior parte delle vittime è rimasta senza giustizia. Per il massacro di Civitella della Chiana nel 2006 arrivò il processo al tribunale militare di La Spezia. Tardi, perché i fascicoli inerenti le stragi nazifasciste in Italia durante il periodo 1943-1944 nel frattempo erano stati insabbiati per ragioni legate agli equilibri politici mutati nell’ambito della guerra fredda.

Gli imputati erano tre: gli ufficiali Karl Stolleisen e Siegfried Böttcher, usciti di scena rispettivamente per ragioni di salute e per decesso e il sottufficiale Max Josef Milde, condannato all’ergastolo in via definitiva con sentenza di cassazione del 21 ottobre 2008.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella stamattina salirà fino lassù, tra le case del borgo di pietra e omaggerà quelle vittime e i loro familiari. Nessuno dei pochi sopravvissuti, 80 anni dopo, può aver dimenticato. Magari alzerà i suoi occhi azzurri oltre i gonfaloni e le fasce tricolore e nel vento, cercando le nuvole, rallenterà tra i tetti del paese, e senza saperlo, si soffermerà sulla casa che fu dei Lammioni, della mamma e delle sorelline morte carbonizzate.

E non potrà immaginare, il presidente, che una bambina, lassù, tra quei tetti sospesi tra il cielo e la terra, una bambina quel mattino di giugno era morta e rinata, salvata dalla linea della vita della mano sinistra di suo padre Luigi. Suo babbo che l’aveva voluta chiamare Vittoria.