
La sera andavamo al cinema in via Cavour Dal muto al sonoro tra le sale di inizio ’900
Alberto
Pierini
Non sapremo mai se abbiano proiettato la Corazzata Potëmkin, anche se il film era di quegli anni. Nè se il capolavoro di Sergei Eisenstein avesse scatenato la stessa rabbia sorda di Fantozzi. Ma sappiamo che la sera andavamo al cinema in via Cavour.
In una delle sere di inizio ’900, ai primi fuochi di una lanterna magica che si era accesa anche ad Arezzo. Il cinema si chiamava Elios ed era il nonno delle sale che dal 1912 in poi avrebbero infiammato gli appassionati della settima arte. Tra pochi giorni apre la Mostra di Venezia, che tra l’altro vanta stavolta qualche bella firma aretina. Ma in quel 1912 il Lido era ancora solo una spiaggia e tale sarebbe rimasta fino al 1932, l’anno della prima edizione-
E sulla spiaggia di via Cavour? La strada, sul lato del glorioso Liceo Petrarca, ospitava al numero 47, lì dove oggi un arco elegante apre un negozio di abbigliamento, l’ingresso al teatro, con una sorta di lungo corridoio. A fianco, al 49, c’era l’entrata al cinema Elios: ora c’è una deliziosa attività di articoli per la casa e niente lascia immaginare che l’epoca del muto avesse trovato qui il suo amplificatore.
In realtà la sala era stata inaugurata nel 1907. E in quella storia si incrociarono diversi aretini doc. Sardini, inventore di un formidabile shampoo per i capelli, Pellegrini, che sarebbe diventato un personaggio chiave in quell’angolo di Arezzo, Burali Forti, un bel nome della musica di allora, e la famiglia Rupi. Giovanni Rupi avrebbe raccontato proprio per il nostro giornale che il padre Danilo aveva come secondo nome Elios, e da lì sarebbe venuta l’idea per l’insegna.
E quell’Elios, le cui tracce pure sono le più profonde in quel cinema dei pionieri, non era stata neanche la prima sala della settima arte. I primi segni sono addirittura del 1901, come aveva studiato con la solita cura il compianto Luigi Armandi: il "buio" per la proiezione prendeva corpo nel palazzo Tommasi Aliotti. Siamo sempre nello stesso isolato magico, un po’ come la lanterna: al numero 8 di via Guido Monaco. Si chiamava, e non poteva essere altro che così, Cinematografo Lumière: troneggiava lì dove il muto piazzava i suoi acuti, un Chronophotographe. Una macchina allora avveniristica, le pellicole arrivavano quasi tutte da Parigi, da sempre la terra del cinema.
Per incrinare il silenzio del muto c’erano le prime proiezioni con la musica in diretta, in genere con strumenti a corde. Gli spettacoli erano due al giorno: alle 19 e alle 23. Le sale d’essai non ne hanno tanti neanche dopo un secolo e passa di storia.
Mesi di fermento. Un po’ per migliorare quella sala, un cinema fisso semplicemente chiamato "Guido Monaco". E un po’ perché al Politeama iniziava un’altra storia affascinante: in una sorta di Arena, dall’impegnativo nome di Nazionale. un teatro estivo popolare, ma che già ospitava le orme del cinema che verrà. Spettacoli anche cinematografici viaggianti, in un tour che in genere partiva da Roma, grazie alla compagnia dei fratelli Albertini.
O il cinema americano Demeny, proposto dal cavalier Mercipinetti, con proiezioni brevi. Cinema itinerante, che raccontano godesse anche di una struttura provvisoria, smontabile, fuori della barriera Vittorio Emanuele. In fondo al Corso, nella zona dei Bastioni dove Santo Spirito vive le sue notti di gloria. Spettacoli pomeridiani, dalle 17 alle 20. E non finisce qui il cielo: nel 1906 la Filarmonica in via Bicchieraia converte la sala per poterla usare anche per spettacoli cinematografici. Un altro cinema dal sapore francese, anzi parigino davvero. Spettacoli nei giorni feriali, dalle 16 alle 22: e con tre ordini di posti e prezzi diversi, dai 40 centesimi delle sedie migliori ai 15 di quelle in fondo. Una terza sala, la "Volta" nasce nel 1910: tra il Corso e via Garibaldi, a Palazzo Belloni, l’antipasto del Supercinema che verrà alla fine degli anni ’30. E cresce il mondo delle piccole sale.
Come quelle di don Onorio, pioniere non solo per il cinema ma anche per la chiesa rivolta ai ragazzi, a San Gimignano. O la sala del Circolo Artistico sul Corso. E alla vigilia degli anni ’30 ecco i primi passi di quella che sarebbe stata l’Arena Eden: un privato ottenne la concessione del Bastione. Utile per una pista di pattinaggio, per i campi da tennis ma anche per un cinema all’aperto. Si chiamava "Impero", il suo arrivo coincise con l’avvento del sonoro, i primi spettacoli risalgono al 1926. Al cinema mancava solo la parola? No, la trova. E la trova anche nelle sale aretine, quelle che con la creatività di quegli anni erano salite sul treno del più grande spettacolo del mondo.
Siamo agli anni ’30, anzi al 1933 nel quale le famiglie Romanelli e Mazzi ebbero il via libera a trasformare la struttura in legno della prima arena. Ne avrebbero fatto un vero e proprio teatro e un cinematografo fisso, Lui, il Politeama. "Il mondo intero è una ribalta" ricordava la scritta storica appesa in cima al grande schermo. Abbattuta come il profilo di quelle sale straordinarie, ormai teatro sì ma di ristoranti e negozi.
Abbattuta come tutti gli altri cinema del centro, con la sola eccezione dell’Eden. Tra i titoli di coda di una storia iniziata ai primi del ’900, tra buio in sala, cravatte obbligatorie, orchestrine in diretta. E la cui lanterna, oscurata dalle piattaforme, rischia di spegnersi per sempre. Insieme alla sua magia.