ALBERTO
Cronaca

La monaca che sussurra agli ergastolani "Io dallo choc per Moro alle lettere in carcere"

Suor Grazia da anni tiene la corrispondenza coi detenuti. E per i 25 anni di missione ha fatto un tour nelle prigioni per incontrarli tutti

La monaca che sussurra agli ergastolani  "Io dallo choc per Moro alle lettere in carcere"
La monaca che sussurra agli ergastolani "Io dallo choc per Moro alle lettere in carcere"

Alberto

Pierini

Le scrivo non dalla cella di un carcere ma da una cella monastica". Fra’ Beppe Prioli per il mondo delle prigioni è più semplicemente frate Lupo. Lo chiamano così da quando ha avviato il suo legame con i detenuti di tutta Italia. Ma perfino lui, il frate minore veronese la cui missione è insegnare a chi è in galera l’arte di essere liberi, sobbalza davanti alla scrittura precisa e senza sbavature della lettera che gli consegnano nel convento. "Mi chiamo suor Maria Grazia Colombo".

Lei, suor Grazia, la monaca domenica che sussurra agli ergastolani: due settimane fa ha portato nel Monastero della Neve, sopra Pratovecchio, Agnese Moro e Franco Bonisoli, uno dei brigatisti dell’agguato di via Fani. Lei era ancora ragazzina, ascolta l’annuncio del rapimento dal suo professore, in classe. "Il cuore mi è scoppiato, diviso a metà tra la compassione per quella famiglia e il dolore per gli uomini delle brigate rosse". Da lì, ma se ne renderà conto solo più tardi, comincerà il suo percorso epistolare all’interno delle carceri. "Sono da 32 anni nel monastero. Ero una ragazza semplice, non frequentavo la chiesa, era la mia mamma ad obbligarmi ad andare alla Messa".

E una di quelle Messe la trasforma. "Sentii il parroco ripetere che il Signore è il nostro amore, il nostra Salvatore e lo dobbiamo amare". Frase che in giro sarebbe stata appena colta ma che le lavora dentro: fino ad uscirne sconvolta, fino a cambiare la sua vita. "Nel 1982 andai alla Giornata mondiale della Gioventù dietro Giovanni Paolo II, nel 1989 ho scelto di entrare in un monastero. Fatale anche allora una lettera. "Avevo scoperto sul Piccolo Missionario la storia di una ragazza di 19 anni, già entrata in convento. Le ho scritto, sono andata a trovarla e in quella occasione mi hanno parlato di Santa Caterina da Siena". Il cuore esplode per la seconda volta: la sua "amica di penna" esce dal monastero e abbandona il velo, lei lo inizia. Ne parlai con il parroco, ne parlai più a fatica con i genitori. Nella periferia di Como, tra i luoghi di Manzoni e del racconto di altre vocazioni.

"Ero l’ultima figlia, unica ragazza dopo tre maschi, mio padre ha fatto una gran fatica ad accettare la mia scelta". Ed era solo l’inizio. Perché da quel giorno del rapimento Moro approfondiva in parallelo il suo legame con i detenuti. "Ero una ragazzina e ogni volta che passavo davanti ad un carcere mi sentivo attratta e pensavo alle persone che erano chiuse dentro".

La vive all’inizio come una vergogna. Entra in monastero e questa sorta di legame invisibile lo riversa nella preghiera. "Pregavo per i brigatisti, da quando ho messo questo abito il mio impegno è pregare per tutti quelli che sono nelle carceri". Ma ancora non conosceva nessuno. E’ a quel punto che parte la sua lettera per Fra’ Lupo. "Mi ha telefonato, mi ha raccontato la sua storia. E alla fine a bruciapelo mi ha chiesto: ti piacerebbe scrivere ad un detenuto?"

Il sì è quasi più rotondo di quello della sua vocazione. "Mi ha dato un nome e ho cominciato". Da subito con autori di reati quasi innominabili: omicidi, delitti di mafia, stragi in famiglia. "Tutte persone con pene lunghe, sono loro che hanno bisogno di essere ascoltate".

Il primo amico di penna aveva ucciso una prostituta. E lei spara subito il suo messaggio forte. "Tu non credi in Dio ma Dio crede in te". E’ la frase che di lì a poco avrebbe fatto breccia in Carmelo Musumeci. In cima ad un’organizzazione criminale, traffico di droga, racket, tangenti e bische clandestine. Un clan opposto ad un altro, in una sfida mortale. Poi il carcere,tre lauree, tanti libri scritti, il cammino di ripensamento. Anche tra le righe delle lettere di suor Grazia.

Subito dopo sarebbe arrivato un ragazzo: aveva ucciso la mamma e la sorella e ne aveva gettato i resti nel fiume. Alle lettere segue l’incontro. "Per il 25° anno da religiosa ho chiesto di andare a trovarli tutti". Un tour per l’Italia alla ricerca dei figli, come il Mastroianni di "Stanno tutti bene". "Il ragazzo ha cominciato a raccontare quel delitto orribile: lo ascoltavo, ero preoccupata di cosa avrei potuto dirgli". Manda avanti il gesto. "Le nostre mani si sono intrecciate, la sua era gelida, non ci siamo detti altro. E’ arrivata la guardia ad annunciare che il tempo era finito. Mi sono alzata e ho camminato all’indietro perché i nostri sguardi non si lasciassero". Esce e ogni volta sprofonda nel silenzio. "Ho bisogno di riflettere, di pregare". Lo fa tutto il giorno, tutti i giorni. Tra gli orari del monastero e le sue lettere. "C’è chi risponde subito, c’è chi aspetta molto, fino ad un mese".

Le raccontano tutto, a cominciare dal delitto. "Ma io non chiedo niente, l’incontro è con una persona non con i suoi errori. Non penso alle colpe che hanno commesso ma all’uomo che mi sta davanti". Va avanti di getto, non ha ricette. "Non è facile infondere speranza a chi ha davanti 30 anni di carcere o l’ergastolo. A volte la mia penna si blocca quando scrivo". Riparte pensando al suo Dio. "Per primo ha pagato il prezzo più alto per amore degli uomini" Ed è qui che riprende la penna in mano, "L’uomo può cambiare: ho visto iniziare un percorso di fede o di revisione di vita in tanti fratelli detenuti". Fratelli, li chiama così, sulla scia di frate lupo. E l’incontro con le vittime? "Con Agnese Moro è nato un legame e così’ con Gemma Calabresi". Che il 18 aprile sarà anche lei nella navata del suo Monastero della neve. E intanto innesta la sua testimonianza sulla Pasqua.

"Penso a Pietro che tradisce tre volte l’uomo del quale era innamorato. Penso al ladrone al quale Gesù promette l’ingresso in paradiso". Lei il suo paradiso intanto lo costruisce in terra, sul filo dell’incontro. "I miei detenuti li tengo tutti stretti nel cuore, li presento a lui ma lui già li conosce". E capisci che in questo caso lui è proprio lui.

Al 25° anno di missione in chiesa c’erano quattro dei suoi carcerati. "Vi scrivo non dalla cella di un carcere ma da una cella monastica": e la storia ogni volta ricomincia.