
Sergio
Castrucci
Sul poggio di Santa Maria delle Grazie, coperto in gran parte da boschi, vigne e uliveti, vi sono poche abitazioni: rustici, case comuni, villette e ville. In quelle abitazioni ha dimorato e tuttora dimora una rara specie di umani: i centenari. Faremo alcuni nomi: la signora Teresa, morta alcuni anni fa a 102 anni, la signora Giovanna e il signor Coriolano, la signora Annunziata di 99 anni che ancora vive. Un po’ più in alto sulla collina, a Villa Wanda, è vissuto un uomo troppo noto perché se ne faccia il nome: come aspirante centenario è morto tuttavia precocemente, alla tenera età di 96 anni. Sull’altro lato del poggio, quello che guarda la città, in un’altra villa, è vissuto fino ai cento un altro signore, meno famoso dell’altro ma ben conosciuto nell’aretino: l’ingegnere Andrea Bianchini, un “personaggio” della cui lunga e intensa vita vorremmo qui dare una breve sintesi.
Andrea Bianchini non è nativo di Arezzo. Nato nel 1912 in Puglia, ad Alberobello è il secondo di sette fratelli. Per mantenere una famiglia così numerosa, il padre cerca altri lavori che lo portano a Bologna dove poi trasferirà tutta la famiglia. Da qui, finite le elementari, Andrea, verrà mandato a studiare a Torino dove però non si trova bene e dopo un anno torna a Bologna; vorrebbe continuare gli studi ma ci sono i soliti problemi economici e allora cerca un lavoro e lo trova, a 13 anni, come cameriere presso un ristorante del centro. Così, per molti anni studia e lavora finché si laurea in Ingegneria Civile col massimo dei voti e una borsa di studio di ben 12.000 lire. Ci arriva a 29 anni, non prestissimo ma non certo perché è un “figlio di papà” che la tira per le lunghe; e infatti, con queste esperienze, col suo carattere e le sue qualità diverrà presto un grande ingegnere.
Inizia la professione a Bologna e un paio di anni dopo, nel 1941, prenderà un’altra laurea, questa in matematica. Sempre nel ’41 conosce e sposa Franca. Ma la guerra è in arrivo. Andrea vince un concorso nell’Aeronautica Militare, diventa ufficiale e partecipa alla guerra sul fronte russo.
Dopo il settembre del ’43, rientrato in Italia può riabbracciare la moglie e vedere finalmente la figlia Laura nata dopo la sua partenza. Si stabilisce a Cortona dove esercita la libera professione insieme all’amico e collega ingegner Enzo Berti e nel 1948 si trasferisce ad Arezzo. Qui sarà uno dei protagonisti della ricostruzione post-bellica ma anche successivamente è impossibile elencare tutte le sue realizzazioni ingegneristiche, non solo nell’aretino: case, ville, chiese, ponti; ne citiamo soltanto alcune: 4 villaggi ed edifici vari per il piano Ina Casa; la colonia marina di Scarlino, nel Grossetano, con 300 posti letto; il complesso ospedaliero di Castiglion Fiorentino; 13 chiese per la maggior parte ad Arezzo e provincia; collaborazione con l’architetto Michelucci per la parte strutturale della sede della Cassa di Risparmio di Firenze. Vi è poi la funivia Cortona-Camucia, un vecchio progetto rimasto incompiuto, una sorta di sogno giovanile a cui spesso tornava col pensiero con una punta di amarezza e di rimpianto.
Tra le numerose cariche pubbliche da lui ricoperte ricordiamo: deputato provinciale ad Arezzo nel 1948; presidente dell’Istituto delle Case Popolari ad Arezzo dal 1950 al 1961; consigliere della Banca d’Italia sede di Arezzo per 10 anni.
L’ingegner Bianchini è stato anche uno studioso della storia dell’arte aretina: numerose le sue pubblicazioni edite e conferenze. Ha collaborato con Mons. Angelo Tafi alla stesura dei due noti volumi “Immagine di Arezzo” disegnando cartine, piante di edifici e schizzi vari.
Ma l’ingegnere, oltreché uomo di azione e uomo di studio, è stato anche un “personaggio” con tratti fisici e comportamentali fortemente caratterizzati. Gli abitanti della zona di S. Maria della Grazie ricordano, per esempio, il suo modo di guidare l’auto. Ancora nei suoi ultimi anni guidava una Fiat Punto blu; la usava per andare alla vicina chiesa di S. Maria delle Grazie percorrendo un tratto di via S. Bernardino. Chi si trovava a passare di lì lo riconosceva assai prima che apparisse, tale e tanto era il fracasso di quell’auto che marciava allegramente in “prima” o al massimo in “seconda”: “...ecco l’Ingegnere” diceva la gente sorridendo e facendosi da parte. Religioso com’era, di quella chiesa fu assiduo e solerte frequentatore. Durante la Messa la sua voce stentorea era inconfondibile, in particolare nella litania ”Agnello di Dio che togli i peccati del mondo” la sua voce vibrante di passione religiosa sovrastava addirittura quella del sacerdote. Gli altri fedeli ormai lo sapevano e l’avevano ribattezzato scherzosamente come ingegner “Agnello di Dio”.
Guardando un centenario, così come guardando un bambino, viene da sorridere. Ed è sorridendo che ci piace ricordare con affetto quest’uomo come ci piacerebbe che la città di Arezzo lo ricordasse concretamente intitolandogli una via, una piazza, qualcosa di più duraturo di un articolo di giornale.