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Arezzo, 17 dicembre 2017 - L’ultimo panino con il kebab. Anzi no, per fortuna, anche perché il piatto non sarà indigeno ma è buono il giusto. Però oggi la moratoria sui cibi etnici andrà al voto. E dal 1° gennaio sarà impossibile lanciarsi nella carriera da kebabbari almeno nel centro storico. E’ solo una delle mosse del nuovo regolamento per la tutela e il decoro della città vecchia: ma fatalmente, come era successo a Firenze o a Lucca, si mangia non un panino ma la vetrina.
Il testo esatto? «Nelle due zone del centro storico sono consentite nuove aperture di attività soltanto se artigianali alimentari della tradizione italiana». Un divieto al contrario, spiega cosa si può fare e quindi esclude cosa non si possa fare. E non è l’unico di quell’articolo 4 che diventa il protagonista della carta. Consente i fast food «ma di prodotti del territorio o a filiera corta o, in alterativa, con una superficie abitabile netta non inferiore a cento metri quadrati e con tanto di bagno accessibile». E ancora «servizi di vicinato del settore alimentare e prodotti a filiera corta e tipici toscani. E di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande non alcoliche e sempre con un bagno disponibile alla clientela».
E le attività con vendita anche di alcolici? Possibili «in locali non inferiori a 40 metri quadrati». Più bagno. La svolta di martedì diventa non solo un freno ai cibi etnici (quelli esistenti ricordiamo che restano tutti tranquillamente al loro posto) ma anche uno stop alla proliferazione dei bar. Che passa non dai vincoli di una volta (il calcolo dei metri tra un’attività e l’altra) ma da criteri di qualità. La richiesta spesso presentata dalle associazioni di categoria e dagli stessi baristi: e che dovrebbe limitare molto le nuove aperture in questo settore. Più i paletti robusti ai minimarket: «consentiti nella zona 2 (non il centro storico propriamente detto) purché in locali di superficie non inferiore ai 40 metri quadrati e con vendita prevalente dei seguenti prodotti italiani: frutta e verdura fresca, prodotti da forno, latticini, carne o pesce».
Se entrate negli attuali minimarket la prevalenza va davvero in altre direzioni. Il centro quindi punta sulla tutela del prodotto tipico, e non a caso dalla moratoria è esclusa la vecchia pizza.Ma la carta segna una fitta griglia di norme anche sul fronte del vero e proprio decoro. Richiesto anche ai proprietari delle case, «che dovranno provvedere alla manutenzione di decorazioni, finiture, elementi di facciata infissi, ringhiere e ogni manufatto esterno».
E anche in questo caso a suon di sanzioni, dai 150 ai 900 euro. E misure stringenti anche per i proprietari dei negozi, aperti o sfitti. Per i primi mantenendo a posto vetrine, insegne, apparecchi illuminanti: ma anche limitando l’esposizione esterna, non usando le vetrine come luogo di stoccaggio merci, evitando pannelli luminosi. Prova a mettere il sale sulle attività extra-alberghiere (una targhetta con i dati relativi alla struttura).
E imponendo ai minimarket anche esistenti di adeguarsi entro tre mesi alla prevalenza famosa dei prodotti freschi e locali. E chi ha negozi sfitti? Li deve mantenere come fossero attivi, anche oscurando la vetrina. Per limitare il degrado: o forse l’angoscia del vuoto.