"Io, Pablito e gli altri: la nostra notte magica"

Ciccio Graziani racconta il Mundial di Rossi, Tardelli e Cabrini, legati a questa terra: "Un gruppo incredibile, andammo oltre le aspettative"

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di Andrea Lorentini

Italia batte Germania Ovest 3-1: azzurri campioni del mondo per la terza volta. Domani saranno passati 40 anni, eppure il ricordo di quella magica notte dell’11 luglio 1982, allo stadio Bernabéu è scolpito nella memoria collettiva, mai intaccato dal trascorrere del tempo. Il "campioni del mondo" ripetuto tre volte, al microfono, da Nando Martellini, Bearzot portato in trionfo dai sui ragazzi sul prato verde dello stadio madrileno, Zoff che alza la coppa al cielo, Pertini che gioca a carte sull’aereo di ritorno, sono gesti e immagini consegnate alla storia di un intero paese. Uno degli eroi del Mundial spagnolo è Francesco Graziani.

Graziani, se torna con la mente all’11 luglio di 40 anni fa, qual è il primo pensiero? "Un’emozione fortissima. Il punto esclamativo di una storia meravigliosa che ha generato un entusiasmo unico per tutta l’Italia. Per quello che abbiamo fatto in quel mondiale saremo ricordati in eterno".

Qual è stato il segreto di quella Nazionale?

"L’unione. Eravamo un gruppo di amici veri e c’era rispetto tra di noi. Alle qualità umane aggiungiamoci poi quelle tecniche ed è venuto fuori il mix perfetto. Avevamo tutti quanti lo stesso obiettivo e l’abbiamo perseguito fino in fondo".

In finale dovette uscire dopo appena 7 minuti per un infortunio alla spalla.

"Sul momento fu un grande dispiacere. Poi mentre uscivo dal campo vidi Giancarlo Antognoni che era più triste di me perché lui di quella partita non potè giocare nemmeno un minuto e allora pensai che dovevo essere, comunque, grato per essere sceso in campo anche se solo per pochi minuti" Come visse la finale contro la Germania da fuori? "Il primo tempo non lo vidi perché restai nello spogliatoio con il ghiaccio sulla spalla. La ripresa, invece, l’ho seguita vicino ai cartelloni pubblicitari a bordo campo, accanto a due gendarmi. Più defilato e me la sono goduta fino al trionfo".

Oltre a lei, altri sui compagni di quel mondiale hanno un legame con Arezzo e la nostra provincia. A cominciare, proprio, da Paolo Rossi che aveva scelto di vivere nella nostra terra.

"Senza i gol di Paolo non avremmo vinto, ma siamo stati bravi nella prima parte del torneo a supportarlo quando non riusciva ad ingranare ed era in difficoltà. Lui ha sentito la stima dei compagni e poi è stato decisivo con i suoi guizzi trascinandoci a vittorie strepitose come quella contro il Brasile".

Anche Cabrini e Tardelli sono passati da Arezzo come allenatori.

"Due giocatori capaci di fare tutto. Antonio poteva anche fare il centrocampista all’occorrenza. Marco sapeva trasformarsi in difensore quando serviva".

L’Italia ha rivinto il mondiale nel 2006, eppure la sensazione che la vostra sia stata la nazionale più amata. E’ d’accordo?

"E’ vero e credo sia per una questione ambientale. Nel 1982 c’era un clima giusto intorno a noi. La gente tifava Italia convintamente. Il 2006 è stata l’estate di Calciopoli. Non si parlava d’altro. Nemmeno ci accorgemmo che gli azzurri di Lippi erano partiti per la Germania. In quelle settimane i tifosi erano più preoccupati di sapere se la propria squadra sarebbe retrocessa o avrebbe avuto punti di penalizzazione. Solo all’ultimo il paese ha accompagnato il trionfo di quella nazionale. Sono comunque epoche differenti. Il nostro era ancora un calcio romantico".

Si celebrano i 40 anni dal vostro trionfo, proprio quando l’Italia è per la seconda volta fuori da un campionato del mondo. Un destino beffardo.

"E’ una tragedia sportiva per il nostro paese. Una intera generazione rischia di non vedere un mondiale perdendosi le emozioni di un evento del genere".