Il volo spezzato di Hinkler "Aquila solitaria" Così il mito del volo fu ritrovato in Pratomagno

Precipitò vicino Cetica 90 anni fa: il corpo fu ritrovato dopo oltre 100 giorni da due carbonai. Tentava l’impresa dall’Inghilterra all’Australia

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Alberto Pierini

A ritrovare la carcassa dell’aereo e quel corpo cercato ormai da cento giorni, furono due carbonai, si chiamavano Tocchioni e Cari. Erano risaliti dal Valdarno per cercare nuovi siti per il loro lavoro, dopo 7 ore intravidero i rottami del velivolo. Poi una figura riversa supina, circa 300 metri sotto. E lanciarono l’allarme.

E dopo qualche ora ecco la notizia: "Hinkler è stato ritrovato". Una notizia che, pur nelle comunicazioni più frammentarie del 1933, rimbalzerà dal Canada all’Australia, da Londra fino a Roma. Era il 28 aprile, dell’aviatore non si avevano notizie dal 7 gennaio. L’impatto con la montagna risale a quel 7 gennaio, esattamente 90 anni fa.

Lui, Herbert John Louis Hinkler, per gli amici fortunatamente solo Bert, "Aquila solitaria", un mito del volo, impegnato a battere un altro record. Il suo obiettivo? Riprendersi il record di velocità sulla tratta da Londra all’Australia, che un suo rivale aveva portato a 9 giorni, un’ora e 30 minuti,

Un asso dell’aria: la rivista Flight International lo ha inserito tra i venti immortali dell’aviazione britannica di tutti i tempi. Australiano del Queensland, combattente della prima guerra mondiale in una squadriglia della Raf inglese, la passione per il volo sopravvissuta al conflitto. Sia sul piano tecnico, collaborava con le industrie aereonautiche e testava personalmente i mezzi, sia su quello delle grandi imprese. Nel 1931 era stato il primo ad attraversare l’Atlantico meridionale dal Brasile all’Africa, da Natal al Senegal, alla guida del suo Puss Moth 120 HP. Un tratto di tremila chilometri in 22 ore. Prima di lui solo Lindbergh aveva attraversato l’Atlantico in solitaria.

Il coronamento di un percorso iniziato con la cavalcata del 1921 tra la sua città Bundalberrg e Sidney. E proseguito con la spinta irresistibile di fare prima, di bruciare le tappe e i record, lo spinse a partire da Feltham Airdfield in Inghilterra diretto in Australia. La prima tappa avrebbe dovuto essere Brindisi, secondo un percorso che aveva riportato meticolosamente nel diario di bordo, poi ritrovato. Non ce la fece: l’impatto con il Prato delle Vacche in Pratomagno, ai 1500 metri di altezza alla quale si spinsero poi i carbonai, ne spezzò l’impresa e la vita.

Ma il mondo lo avrebbe scoperto solo dopo i fatidici 100 giorni, anzi 111. I primi di ricerche frenetiche, rallentate e poi interrotte dalle abbondanti nevicate sulle Dolomiti, lì dove secondo una prima ricostruzione si stimava potesse essere caduto o, magari, atterrato, in una manovra di fortuna. Due dei ricercatori, tali Hole e Henley, sparirono anche loro dai radar, facendo tremare le famiglie: il loro aereo era andato in panne ma chiamarono da Sion per annunciare di essere ancora vivi.

Poi un infinito cono d’ombra: fino all’allarme dei carbonai. Avvertirono la tenenza dei carabinieri di Bibbiena. E’ la notte del 28 aprile. Malgrado l’ora proibitiva Aureli, il comandante della stazione, organizza immediatamente una missione di recupero. Con lui tra gli altri il tenente aviatore Giuseppe Gherdini e altri che i giornali dell’epoca definiscono, "fascisti e militi volontari". Una marcia faticosissima.

Li avrebbe portati ancora nella notte a Badia di Cetica. E poco dopo all’avvistamento temuto da mesi. Quel corpo 300 metri sotto la carcassa dell’aereo, 50 metri più in là il serbatoio, a 500 l’ala spezzata del velivolo. E sul crinale, quasi messaggi lanciati al mondo, i pezzi di tela delle ali. Il corpo riverso, la testa fracassata, la decomposizione frenata dal freddo della montagna. Addosso il passaporto rilasciato dalle autorità di Ottawa, il porto d’armi, il portafoglio con 65mila lire in buoni del tesoro canadesi, 75 lire italiane. E un orologio d’oro fermo alle 3: l’ora dell’impatto? No, corrisponde più all’ora di partenza dalle coste inglesi. Aveva sorvolato, secondo il diario di bordo, Parigi, Macon, il colle del Moncenisio, La Spezia. E aveva avvistato le luci di Firenze alle 18.55.

L’obiettivo era proseguire il volo verso La Penna, alla Verna, per poi puntare sull’Adriatico e costeggiarlo fino a Brindisi, la conclusione della prima tappa. Non ci sarebbe mai arrivato. Secondo le ricostruzioni potrebbe aver perso il controllo del velivolo all’altezza del ponte che unisce Rignano sull’Arno a San Clemente. La notizia della scoperta, dicevamo, fece il giro del mondo. Mussolini decretò i funerali di stato, che furono celebrati in effetti il primo maggio del 1933, con grande solennità proprio a Firenze. E’ sepolto nel cimitero degli Allori. E in suo ricordo sul Pratomagno, all’altezza del Prato delle Vacche che lo aveva tradito, fu costruito un monumento: ma sarebbe stato distrutto durante la seconda guerra per essere sostituito dall’attuale cippo.

Nella sua tuta furono trovati dieci foto di una giovane donna. Ma non fu mai recuperata l’elica, quella che avrebbe potuto ricostruire la causa dell’incidente. Tra i gagliardetti nella camera ardente, allestita nella Casa del Fascio di Strada, c’erano quelli dell’Aereo Club Perticucci. Lì i suoi poveri resti furono portati a braccio fino a Cetica e da lì a Strada.

E sul percorso tutti i casolari avevano appeso alle finestre una bandiera abbrunata. Il primo di una lunga serie di "inchini" al coraggio di un uomo, spinto fino alla morte. Quel crinale dove la sua corsa si era fermata, fu sorvolato anni dopo da un pilota inglese. Per lanciare un mazzo di fiori sul valico della morte.