BRILLI
Cronaca

Il tocco magico di Pennell. In triciclo con la moglie per disegnare tesori d’arte sui libri dei viaggiatori

L’illustratore Joseph Pennell nel 1887 andò da Firenze a Roma con un mezzo stravagante. Con le sue tavole esaltò le bellezze aretine per Henry James.

Il tocco magico di Pennell. In triciclo con la moglie per disegnare tesori d’arte sui libri dei viaggiatori

Il tocco magico di Pennell. In triciclo con la moglie per disegnare tesori d’arte sui libri dei viaggiatori

Attilio

Il lettore affezionato a questa pagina domenicale con l’implicito invito alla lettura, forse ricorderà che è capitato di parlare di Joseph Pennell in un’altra lontana occasione. In quel caso veniva messa in luce la figura di questo artista americano in relazione al suo viaggio da Firenze a Roma in una specie di triciclo a due posti, effettuato nel 1887 insieme alla moglie e collaboratrice Elizabeth Robins. Da quel viaggio era nata la scoperta e l’innamoramento di Pennell per la terra aretina nella quale sarebbe ritornato più volte. Nato a Filadelfia nel 1858, Pennell è un grafico americano che si è specializzato nell’illustrazione dei libri, pur avvertendo sul collo, come soleva dire, il respiro dell’invadente fotografia. Sue sono le illustrazioni che arricchiscono i più bei volumi dedicati all’Italia fra le fine dell’Ottocento e il primo Novecento, comprese le splendide Ore italiane di Henry James.

La sua opera grafica fatta di disegni, acquerelli, pastelli, acqueforti, costituisce la visualizzazione di quel clima inconfondibile che ha fatto della Toscana l’approdo di artisti e scrittori inglesi e americani, da Edith Wharton, a Vernon Lee, a John Singer Sargent, e di grandi storici dell’arte da Bernard Berenson a Frank Mason Perkins.

Nella sua arte, Pennell è stato un instancabile viaggiatore e nessuno più di lui avrebbe potuto sottoscrivere il motto di John Ruskin, il quale soleva dire: "Gli uomini hanno visto assai poco quando andavano piano, figuriamoci cosa potranno vedere andando veloci". Le lunghe ascese alle città collinari toscane rivelano in Pennell il piacere tutto americano della scoperta di un luogo intesa come conquista lenta, pausata, pioneristica, quasi una nuova frontiera della percezione e dell’arte.

Dopo il viaggio in velocipede attraverso la Valdichiana, nel 1901 Pennell viene ingaggiato per illustrare un corposo volume di uno scrittore britannico, Maurice Hewlett, intitolato "The Road in Tuscany", dedicato alle città grandi e piccole della Toscana e ai suoi paesaggi. In questa occasione, nel biennio 1901-1903, Pennell approfondisce con entusiasmo la conoscenza di Arezzo e delle sue vallate che raffigura attraverso tagli e inquadrature inusitate.

In questo si distingue da Hewlett, infatti mentre lo scrittore descrive in maniera sommaria le vallate e addirittura non dice nulla del capoluogo, Pennell rimane incantato dal Casentino con il fosco castello di Poppi, dall’aerea Cortona, dalla Torre di Berta di Sansepolcro e da Arezzo alla quale dedica dieci tavole. "Hewlett si considerava conoscitore dell’Italia medievale", scrive Pennell nell’autobiografia, "ma non aveva nessuna conoscenza dei luoghi e delle strade per raggiungerli".

Se si esclude la cartella di dieci incisioni nelle quali Giannino Marchig avrebbe raffigurato scorci e vedute della città nel 1932, non c’è altro artista che abbia dedicato ad Arezzo un insieme di raffigurazioni di vie e di piazze , così da creare un album ideale che ne rispecchia la fisionomia più intensa e più vera.

Le tavole rappresentano di volta in volta scene d’obbligo, come piazza Grande con l’inquadratura del Palazzo della Fraternita dei Laici ad angolo con il loggiato vasariano. Ma della medesima piazza viene raffigurata la Fontana antistante l’abside della Pieve e, in un altro disegno, l’imbocco di un’affollata via di Seteria. Memorabile è inoltre via dei Pileati dominata dal campanile "dalle cento buche" della Pieve.

Sostando nello stesso luogo, Pennell rimane colpito dall’Ingresso di Palazzo Pretorio che restituisce con un misto di reverenza per questo calendario della storia che ci parla attraverso la sterminata compagine dei suoi stemmi, ma anche di ironia per la figura del prete che arranca in salita, ignaro o forse insensibile al fascino turbinoso del passato.

Un’altra scena d’obbligo è la Fiancata esterna della Cattedrale, restituita con un taglio singolare che ne pone in risalto, quasi si trattasse di una scena teatrale, l’ampia piattaforma e la scalinata. Straordinari sono poi i disegni a carboncino nei quali Pennell raffigura ora L’interno della cattedrale con l’altare maggiore, ed ora il medesimo interno con la veduta di scorcio del Cenotafio del Vescovo Tarlati. Altro interno suggestivo è quello della Pieve di Santa Maria, anche questo preso di scorcio. Quello che affascina in questi interni è l’impiego sfumato del carboncino che conferisce una straordinaria morbidezza alla visione prospettica e alle possenti colonne a fascio. È come se la sacralità religiosa e storica volesse catturare lo spettatore e allo stesso tempo rendere il luogo elusivo ed ineffabile ai suoi occhi.

Al termine del suo lavoro, Pennell volle donare i circa trecento disegni al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi come tributo alla Toscana, alle sue città e ai suoi paesaggi. Riscoprirli oggi significa, almeno per quanto riguarda Arezzo e la sua terra, osservare luoghi e monumenti con gli occhi di chi sa muoversi con lentezza, senza farsi distrarre dalla velocità e tanto meno senza gingillarsi con il cellulare.