SUBBIANO
Cronaca

Il "ritorno" del Fulgor. Le storiche pellicole del cinematografo: "Emozioni di una volta"

Giancarlo Del Pasqua, 83 anni, ha lavorato in sala per oltre vent’anni. Oggi ha ricostruito nella sua casa l’ambiente che ha sempre amato. A Subbiano conserva biglietti degli anni Trenta e obiettivi cinemascope.

Il "ritorno" del Fulgor. Le storiche pellicole del cinematografo: "Emozioni di una volta"

di Amalia Apicella

C’era una volta un cinematografo. Si chiamava cinema Fulgor. Era lì "dove l’Arno torce il muso agli aretini", avrebbe detto Dante. Proprio lì, nella campagna toscana, dove il fiume separa da Capolona, poco distante da Arezzo. Giancarlo, che a ci è nato e ancora ci vive, ha lavorato in quella sala per più di vent’anni. E quando ha chiuso i battenti, nel 1985, in un cinema non ci è più entrato. Quasi fosse un tradimento. Perché lui, che ora ha 83 anni, i film li proiettava. Li guardava dalla cabina mentre metteva in moto la macchina e poi stava attento alla pellicola, perché se si strappava o, peggio, se prendeva fuoco, allora erano guai. Giancarlo Del Pasqua ha iniziato a 18 anni, ha il patentino ancora incorniciato a casa. È nitido il ricordo di quell’esame: "Te, i libri, non li guardare, va davanti a una macchina e fatti spiegare dall’operatore", diceva a chi sosteneva la prova con lui. Perché poi quando la commissione gli ha chiesto: "Se a lei prende fuoco la pellicola, cosa fa?", Giancarlo, che aveva imparato il mestiere sul campo, ha saputo rispondere: "Un dito qui, uno là, strappo la pellicola, la butto a terra e la spengo coi piedi".

Il Fulgor era lì – anzi è lì – accanto al giardino sull’Arno, dove i subbianesi andavano a ballare, dove "la maggior parte si è innamorata. Quando i protagonisti dei film si avvicinavano, immancabilmente anche in platea scattava il primo bacio – ricorda Giancarlo – Ma l’incantesimo si interrompeva con la rottura della bobina e allora si alzava l’urlo infame: ‘Giancarlo, che fai? Quella pellicola la mangi?’. Poi cominciavano a battere i piedi e il polverone, che si mischiava al fumo delle sigarette, finiva per oscurare lo schermo”. Giancarlo in un cinema che non fosse il Fulgor non ci è più voluto entrare. Però, quando ha chiuso, ha comprato proiettori della ‘sua’ sala, un’infinità di manifesti, ha conservato biglietti che risalgono addirittura agli anni Trenta, obiettivi cinemascope e schermo panoramico, telefoni che servivano per le comunicazioni tra la biglietteria e l’operatore, amplificatori, episcopi degli anni Venti e tanto, tanto altro. Addirittura i microfoni, da cui parlarono Totò e Macario, le poltrone di legno e il sipario di velluto rosso, per cercare di ricreare il più possibile la stessa atmosfera che si respirava al Fulgor. Sembra un museo del cinema, lo scrigno in cui Giancarlo tiene i suoi ricordi con una precisione e una cura maniacale. Tutti e sette i proiettori sono ancora in funzione, li ha aggiustati lui. E ancora proietta, anche bendato saprebbe farlo, dice.

Da quando ha chiuso, quarant’anni fa, il Fulgor è rimasto esattamente com’era. Ha provato a rinnovarsi nel 2014, diventando un cinema-centro culturale, grazie all’associazione Fulgor Contemporary Art di Giacobbe Giusti, figlio dello storico proprietario della sala. Ma la pandemia gli ha dato il colpo di grazia e da quasi quattro anni, nonostante i solleciti dell’associazione, non se ne parla nemmeno più del progetto che stava prendendo forma. Sarebbe bello se questo luogo vissuto, amato e consumato potesse tornare allo ‘splendore vivo’ che quel nome, Fulgor, continua a portare con sé.