GLORIA PERUZZI
Cronaca

Il resistente del cinema aretino. Squillace: "Il fascino dell’Eden mi ha incantato fin da bambino"

Il gestore dell’unica sala rimasta nel centro della città si racconta: "Mio padre era il contabile io correvo lungo le mura e sbirciavo i film. La mia passione adesso è diventata un lavoro".

Il gestore dell’unica sala rimasta nel centro della città si racconta: "Mio padre era il contabile io correvo lungo le mura e sbirciavo i film. La mia passione adesso è diventata un lavoro".

Il gestore dell’unica sala rimasta nel centro della città si racconta: "Mio padre era il contabile io correvo lungo le mura e sbirciavo i film. La mia passione adesso è diventata un lavoro".

Gloria

"L’ultima proiezione all’aperto fu un evento memorabile prima che quell’arena scomparisse e fosse sostituita da una nuova: l’anteprima sold out di ‘Pirati dei Caraibi’, sotto un cielo stellato". Era l’inizio degli anni Duemila. Michele Squillace muoveva i primi passi nel mondo del cinema, proprio mentre le sale cinematografiche cittadine cominciavano a svuotarsi. Ancora oggi, con Officine della Cultura, tiene viva l’anima del grande schermo all’Eden, l’ultima sala rimasta nel centro di Arezzo.

Squillace, come nasce il suo legame con l’Eden?

"Era un ambiente che conoscevo fin da bambino. Mio padre lavorava lì come contabile, spesso io correvo intorno alle mura della vecchia struttura e, ogni tanto, sbirciavo qualche film quando erano adatti ai bambini, ovviamente".

Quando ha deciso di farlo diventare un mestiere?

"Un po’ di anni dopo, ho preso il patentino da proiezionista, che all’epoca era necessario per maneggiare attrezzature e pellicole. Oggi non serve più, basta saper accendere un computer".

Era già appassionato di cinema?

"Lo sono diventato. Ho studiato lettere qui ad Arezzo, indirizzo musica e spettacolo. Ma la passione vera è nata via via".

Ha scelto una strada controtendenza?

"Sì, quando molti scappavano, chi per la pensione, chi per mancanza di prospettive, io ho iniziato. E alla fine sono diventato ‘la faccia’ del Cinema Eden".

Cosa intende?

"Come il barista del bar di fiducia. Quando entri all’Eden, trovi me. Sono diventato per molti il resistente del cinema aretino".

Com’è cambiato il lavoro negli anni?

"Tecnicamente tantissimo. Quando ho iniziato, c’erano le pizze di pellicola. Ogni film era suddiviso in rulli da montare fisicamente. Oggi arriva un file, lo carichi nel server e via. Non devi sollevare nulla, non c’è rischio di graffiare la pellicola. È tutto più ‘pulito’".

Si è trasformato anche il rapporto tra l’Eden e la città?

"Negli anni ha conquistato il suo pubblico. Il recente crowdfunding per scongiurarne la chiusura, l’ha dimostrato: c’è affetto. Ma la programmazione è cambiata molto". Cioè? "Un tempo era la sorella minore del Corso e del Supercinema. Poteva permettersi di essere davvero una sala d’essai. Ora, essendo l’unica, non può permettersi scelte troppo di nicchia".

Non sono anni facili per il cinema...

"No, la crisi va avanti da almeno 15-20 anni. Ogni tanto si nasconde dietro ai fenomeni di turno, come il film di Paola Cortellesi. Ma i numeri veri sono molto più bassi di una volta. Zalone faceva 70 milioni, oggi un ‘boom’ è 35".

Quali sono le sfide per le sale?

"Una sala da sola non può invertire il trend. Il problema è a monte: ci sono troppi film, pochi memorabili".

È un problema di qualità?

"Secondo me sì. È cambiata l’idea stessa di fare cinema. Si fa più marketing che arte anche se è definito ‘settima arte’. Mancano i produttori illuminati".

Da cosa nasce questa deriva?

"Da un’idea mal interpretata. Con il Dogma di Lars Von Trier è passata l’idea che tutti possono fare cinema. È giusto, ma forse è stato preso troppo alla lettera. È brutto da dire, ma non tutti sono capaci, vale per tutte le cose".

La crisi, quindi, è anche colpa del cinema stesso?

"Sì, anche se ogni volta si cercano capri espiatori: prima, le multisale, ora le piattaforme. Ma alla fine, se un film è buono, la gente va al cinema".

E i margini di scelta per una sala piccola?

"Sempre più stretti. Le major ti impongono programmazioni fisse. Può incassare uno o diecimila euro: devi tenerlo due settimane. È una continua mediazione".

Come sceglie i film?

"Di sicuro non posso guardarli tutti prima, avrei bisogno di due vite! Ogni lunedì è una sfida. Cerchi l’equilibrio tra pubblico, distribuzioni e gusti".

L’Eden è anche un luogo di cultura cittadina?

"Sì. C’è, ad esempio, una bella collaborazione con il Liceo Artistico e Coreutico per il festival Officine Social Movie, la prossima edizione sarà i primi di giugno. I ragazzi si occupano di tutto: grafica, comunicazione, giuria. È un modo per far vivere il cinema ai giovani".

Il pubblico più fedele?

"Le donne. Di tutte le età. Madri, figlie, amiche. Amano uscire, condividere emozioni".

Un film da proiettare per sempre?

"Tutti quelli di Sergio Leone, con la musica di Morricone. Random, per sempre".

I registi preferiti?

"Leone, Kubrick, Scorsese. Anche se nei film di Scorsese ci sono troppi maschi alfa".

L’incontro cinematografico più sorprendente?

"Pupi Avati. Pensavo fosse austero, invece è uno dei più divertenti che abbia mai conosciuto".