
Il personaggio diabolico. Prelati, il chierico che finì impiccato dopo l’ennesima truffa
De Fraja
La fama di guerriero spietato precedeva il barone de Rais quando il re di Francia, nel 1428, richiese il suo intervento militare per liberare la città di Orléans, assediata dagli Inglesi. Nominato Maresciallo di Francia dopo il successo di Orléans, Gilles de Rais pianse sulle ceneri di Giovanna d’Arco, la giovane che affermava di essere stata scelta da Dio per liberare la Francia dal giogo straniero.
Cadde presto in disgrazia, a causa della sua prodigalità, del lusso, delle ingenti spese, non solo militari, per il mantenimento di un proprio coro di cantori, una propria compagnia teatrale, numerosi oggetti che amava acquistare come arazzi, argenteria sacra e soprattutto libri. Affascinato dalla magia e da dall’alchimia, riunì nel suo castello di Tiffauges maghi, negromanti, satanisti e alchimisti. Lì, invocava il diavolo e celebrava cerimonie sataniche riponendo ormai tutte le sue speranze nell’aiuto del diavolo e nella fabbricazione dell’oro. Alcuni dettagli della vita di Gilles de Rais si conoscono grazie agli atti del processo a cui fu sottoposto nel 1440. L’accusa non si limitava alla pratica della stregoneria: si additava anche di eresia, di sodomia e di assassinio di bambini.
Per molti fu un processo politico contro un personaggio divenuto scomodo ed ingombrante, un processo montato su accuse cucite a pennello. Ma chi era l’ultimo mago a cui Gilles de Rais affidò le proprie sorti prima di finire processato, impiccato e parzialmente arso al rogo? È proprio l’interrogatorio processuale di Francesco Prelati, l’ultimo mago, a fornirci notizie. Depose che era originario di Montecatini in Val di Nievole ed era chierico “poiché aveva ricevuto la tonsura dal vescovo di Arezzo”, aveva studiato poesia ed altre arti come l’alchimia ed aveva abitato a Firenze, culla di raffinati studi e pensatori. Nel 1440, al momento del processo, aveva circa ventitré anni. Stando alle dichiarazioni testimoniali, la tonsura potrebbe essere stata amministrata dal vescovo di Arezzo, Francesco da Montepulciano, deceduto nel 1433, quando Prelati era ancora molto giovane. Dunque, il Maresciallo di Francia inviò in Italia Eustache Blanchet, sacerdote alle proprie direttive, alla ricerca di uno “specialista”. Blanchet, “tramite un certo tal Mastro di Montepulciano” fece la conoscenza del chierico aretino che, ritenuto idoneo all’ingaggio, alla metà di maggio arrivò a Tiffauges, la residenza principale di Gilles de Rais. Prelati riferì di essere in grado di evocare il demone Barron e così, a luglio, approntò la sala inferiore del castello con cerchi e segni magici sul pavimento. Su indicazione del Prelati, alcuni portarono mirra, una pietra magnetica ed il libro, che Prelati si era portato dall’Italia, con i nomi dei demoni e formule per l’evocazione.
Il chierico aretino, quale “esperto” di riti satanici, ordinò di rimanere solo con il Signore di Rais che teneva in mano la cedola, già firmata, per stringere un contratto con il Diavolo. Si inginocchiano, leggono formule ed invocazioni per ore ma non succede nulla. Maestro Prelati, incalzato da Gilles de Rais, alcune notti dopo, tentò un ulteriore contatto con Barron in un prato lontano da Tiffagues: aromi e magnete accompagnano il libro delle evocazioni sul quale, con un coltello, vengono incisi alcuni segni. Prelati invocò Barron ad alta voce per consegnargli la promessa che Gilles aveva stilato personalmente. Numerosi i tentativi di evocazione alla presenza del Signore di Rais ma Barron sembrava apparire solo al chierico aretino nelle vesti di satanista a cui, invece, sarebbe già apparso più volte.
Tempo dopo, Blanchet venne chiamato al castello ove rinvenne Prelati riverso a terra: il Signore di Rais teme che sia morto. La stanza odorava di zolfo e si erano uditi gemiti e colpi “come se qualcuno stesse battendo una coperta”; Prelati si riprese affermando di essere stato bastonato da Barron: è ferito e trascorre una settimana a letto sostenendo che gli spiriti siano in collera perché tenuti in scarsa considerazione e per tal motivo non si sarebbero manifestati. La dabbenaggine del Maresciallo di Francia non ha limiti e cede alla ulteriore farsa dell’ex chierico che tiene ancora in massima considerazione.
Egli nella sua confessione dichiarerà che Prelati era davvero un uomo in gamba, particolarmente colto ed istruito, parlava il latino con eleganza, aveva fascino e svolgeva con zelo i rituali che lo stesso Gilles richiedeva. In realtà Prelati è un truffatore, un ciarlatano, seppur elegante, ed un giovane delinquente. Prelati, continuò le evocazioni in assenza di Gilles ed il Diavolo puntualmente si manifestò lasciando messaggi o avanzando pretese di organi umani; così, seppur deluso, il Signore di Rais tornò alle sue dissolutezze di un tempo tra cui anche ambigui rapporti con giovanotti o bambini forse offerti al demone mai visto. Al processo, umili contadini dei domini del barone dichiararono che i loro figli di età compresa fra gli 8 e i 14 anni, erano spariti mentre stavano sorvegliando il bestiame o lavoravano come apprendisti.
Ma il chierico di Arezzo che fine fa? La pena che l’inquisitore gli inflisse fu la prigione a vita ritenendosi, sostiene A. Bourdeaut, che egli non avesse preso parte agli atti immondi e agli omicidi dei fanciulli. Tuttavia Prelati riuscì a fuggire, aiutato dalle sue abilità e spiccata parlantina grazie alle quali entrò nelle grazie di Renato d’Angiò rimasto convinto che sapesse fabbricare l’oro. Sino alla fine andò avanti nella sua carriera d’impostore servendosi anche di certe carte, siglate in bianco, per falsificare documenti compromettenti importanti personaggi: fu la sua rovina ed il suo atto finale. Infatti, dopo un ultimo guizzo di celebrità come capo della guarnigione del d’Angiò a la Roche sur Yonne, Prelati venne impiccato.