
di Alberto Pierini
C’è uno zainetto grigio di fianco alla cabina telefonica: e nel giallo senza giallo, quello di una strage che ha già chiari le sue vittime e il suo carnefice, viene preso sul serio anche quello. E’ il punto nel quale Jawad HIckam si è rifugiato, lasciandosi alle spalle una striscia di morte dal terzo piano della palazzina fino alla strada. Il coltello nella tasca posteriore, il sangue dei suoi "cari" addosso. E’ la notte amara di San Lorentino. La piazzetta delle cene del quartiere, prima di riconciliarsi con la sede e la via stretta e lunga verso il centro, è apparecchiata di dolore.
"Ho ammazzato tutte e due, tutte e due": esclama con voce stonata Jawad, davanti agli occhi allibiti, malgrado l’abitudine, di due agenti di polizia. L’allarme che hanno ricevuto è arrivato dal 118, subito mobilitato davanti alla chiamata del figlio sedicenne di Jawad. Spaventato, è corso alla cornetta quando il padre è uscito, dopo i colpi di coltello alla mamma e alla nonna. Precedendo lo stesso babbo.
E’ entrato in cabina, una delle ultime cabine della città: e ha fatto una telefonata. Con ogni probabilità allo stesso 112, il numero unico dell’emergenza: che in un caso ha dato la precedenza al soccorso, nella speranza di riuscire a salvare qualcuno, e nell’altro alle forze di polizia. Ma tanto erano già sul posto. Pronte a vedere Jawad uscire dallì’ombra di Porta San Lorentino e accusarsi del delitto orrendo che aveva appena commesso.
"Le ho ammazzate tutte e due": l’esclamazione, nella sua tragicità, pare tradire che le vedesse l’una di fianco all’altra, forse tra i fumi della rabbia un corpo unico contro di lui. E al quale aveva risposto con il coltello. Un coltello da cucina, la familiarità di un legame ridotta ad un’arma.
Le luci al terzo piano della palazzina di via Varchi, quella che fa angolo con via Marco Perennio, restano accese. Prima per la tragedia e poi per gli esami: la scientifica passa al setaccio non solo l’appartamento ma l’intera scala fino al portone esterno. Dal quale in mattina sbuca il povero corpo di Brunetta Ridolfi, la mamma di Sara Ruschi: uccisa subito e rimasta per ore in casa, perché venisse esaminata la scena del crimine. Il Pm Marco Dioni, il capo della mobile Sergio Leo danno le indicazioni nella notte della tragedia e delle indagini. Ma Jawad è già in questura. E Sara in ospedale, dove sarebbe morta subito dopo, tra le pieghe della stessa notte.
Tutto chiaro, meno la causa scatenante dell’ultima crisi, anche se i sospetti non mancano, a cominciare dal fatto di aver scoperto quanto fosse logorato il legame con la compagna. I lampeggianti esterni della polizia e del 118 gradualmente si spengono: per tornare alle centrali e insieme alle prime luci del giorno. Che scoprono una città più povera. Una giovane di 35 anni spazzata via da un coltello, insieme alla mamma di 73. Due ragazzi rimasti soli, con un padre in carcere e come riferimento un nonno distrutto dal dolore. E uno zainetto grigio, abbandonato di fianco ad una cabina dal telefono sporco di sangue.