
Helenia Rapini, la giovane volontaria dell’Enpa morta nel 2019
Arezzo, 23 settembre 2025 – Un colpo di sonno. Sarebbe stato questo, secondo la perizia disposta in appello, a provocare il terribile incidente in cui, il 6 novembre del 2019 perse la vita Helenia Rapini, 29 anni, volontaria dell’Enpa di Arezzo. La giovane stava andando al lavoro quando, sulla provinciale di Ristradelle, un Suv le piombò addosso all’improvviso, senza lasciarle scampo. Con lei morì anche il cane che viaggiava accanto. Ieri, presso la Corte di Appello di Firenze, si è celebrata una nuova e delicata tappa del processo. L’udienza ha avuto al centro l’esame dei consulenti nominati dalla Corte, i quali hanno depositato una perizia che attribuisce il tragico incidente a un colpo di sonno improvviso, riconducibile alla sindrome delle apnee ostruttive notturne (Osas), patologia che l’imputato avrebbe scoperto soltanto dieci mesi dopo lo schianto. Secondo i periti, dunque, l’evento sarebbe stato imprevedibile e indipendente dall’assunzione del farmaco Delorazepam, riscontrato nel sangue dell’uomo.
Un medicinale definito dagli esperti un ansiolitico e non un vero sonnifero, la cui bassa concentrazione non avrebbe inciso sulle capacità di guida. Una conclusione che però non ha convinto né il pubblico ministero né la famiglia Rapini. In aula, il Procuratore Generale ha contestato ai periti la mancanza di specifiche competenze pneumologiche, sottolineando come non fosse possibile affermare con certezza il nesso causale tra Osas e colpo di sonno. Contestazioni che si sono intrecciate con la delusione dei familiari della vittima, rappresentati dall’avvocato Francesco Valli, i quali avevano depositato una perizia alternativa, secondo la quale l’incidente non fu causato da un improvviso malore, ma dalla consapevole assunzione di un farmaco con effetti sedativi. La difesa della giovane sottolinea inoltre come nella lettera di dimissione dell’imputato, dopo il ricovero seguito all’incidente, non fosse presente alcun riferimento a una diagnosi di Osas, emersa solo molti mesi dopo.
Non solo. Secondo la famiglia, non si sarebbe dato adeguato rilievo nemmeno alla velocità con cui viaggiava il Suv al momento dell’impatto, superiore di almeno 20 chilometri orari al limite previsto su una strada già compromessa da buche e avvallamenti. Nonostante le contestazioni, la Corte ha confermato la sentenza emessa dal GIP di Arezzo, che in primo grado aveva assolto l’uomo ritenendo che il fatto non costituisse reato. Adesso i familiari attendono il deposito delle motivazioni della sentenza, riservandosi di chiedere al Procuratore Generale di ricorrere in Cassazione. “Speriamo – dicono – che venga finalmente riconosciuta la verità e che sia resa giustizia a Helenia”.