
Antonio Moretti
Arezzo, 27 novembre 2018 - Anni e anni di operazioni al limite rendono impossibile distinguere nel gruppo Moretti, nella bufera da venerdì dopo il maxi-blitz della guardia di finanza, le attività lecite da quelle illecite. Parola del Gip Piergiorgio Ponticelli, quasi a conclusione delle 140 pagine dell’ordinanza cautelare con cui dispone i domiciliari per il capostipite Antonio, il figlio Andrea e due stretti collaboratori, Marcello Innocenti e Paolo Farsetti, nonchè l’interdizione dalle cariche sociali per gli altri figli, la moglie, la sorella e la nuora.
«La stratificazione di anni di condotte illecite - scrive il giudice nelle carte che La Nazione ha potuto vedere - rende impossibile individuare la parte di patrimonio familiare eventualmente “pulito“, posto che a causa del continuo reimpiego in operazioni illecite ha operato definitivamente quella “confusione” che per giurisprudenza costante vale a dare la prova della provenienza delittuosa di tutte le somme reimpiegate». In sostanza non è più possibile capire cosa è buono e cosa invece è cattivo.
Restano dunque i capi di imputazione di associazione a delinquere finalizzata all’autoriciclaggio, alla frode fiscale, alle false fatturazioni e al mendacio bancario. Significative a tal proposito le cifre che il Gip Ponticelli indica come «prelievi» effettuati dai membri della famiglia, come al bancomat. La parte più cospicua è quella contestata ad Andrea Moretti, 4 milioni e 898 mila euro.
Più moderate le somme che dalle casse delle società risulta aver percepito il capofamiglia Antonio: 366 mila euro, mentre l’altro figlio Alberto, destinatario di uno dei provvedimenti di interdizione, 453 mila euro, Luciana Lofranco, l’erede Lebole che è moglie di Antonio, 85 mila euro dalla società Pl Retail srl. Cifre, chiosa il Gip, «utilizzate per fini personali o comunque estranei agli scopi societari, creando ex post la documentazione contabile...mediante fittizi contratti di consulenza o altro». I Moretti, insomma, si dichiaravano consulenti delle loro stesse società e ne percepivano la contropartita.
Anche questo è autoriciclaggio, che si configura poi in una serie di operazioni di reimpiego di capitali di provenienza dubbia puntualmente elencate da Ponticelli: 1 milioni e 600 mila arriva dall’acquisto di un asset della «Fattoria il Serraglio di Leccio» da parte della Loggia Srl; c’è poi la plusvalenza in nero di 146 mila euro sulla vendita del 40% di Riviera Srl, società interessata alla realizzazione di un outlet a Sanremo con l’immobiliarista Luigi Dagostino.
E c’è pure la cessione del 42% (quasi 3 milioni) della Rivoire Srl, che controlla lo storico Caffè di Firenze, in piazza della Signoria. Ma le somme più grosse riguardano l’acquisto di società italiane da parte della cipriota Staridea, controllata daiMoretti, per 7,5 milioni e soprattutto il conferimento per quasi dieci milioni del patrimonio dell’azienda agraria maremmana Poggio al Lupo al Feudo Maccari di Noto, ora sequestrato. In tutto sono 25,5 milioni di cui adesso iMoretti e collaboratori devono rispondere