Claudio
Santori
Nel luglio del 1849 Giuseppe Garibaldi, dopo aver difeso la Repubblica Romana nella memorabile resistenza alle truppe francesi sul Gianicolo, iniziò una tragica ritirata verso il nord e giunse ad Arezzo con una truppa avvilita e stremata, ma si vide negare l’accesso alla città da parte del gonfaloniere (sindaco) e si accampò nel colle sopra Santa Maria. Il gonfaloniere pro tempore era il poeta Antonio Guadagnoli (Arezzo, 15 dicembre 1798 – Cortona, 15 febbraio 1858) al quale ancora oggi la critica rinfaccia questa mancanza di sensibilità patriottica: "La miope censura toscana -scrive Giuliana Nuvoli in Storia generale della letteratura italiana, Motta Editore, vol. VIII, pag. 615)- gli si fa ostile e così può passare per liberale: cosa né vera né per il suo deciso conservatorismo in alcun modo credibile.
Basta a testimoniare il suo “pavor” e la sua assenza di lucidità politica, l’episodio del 1849 quando, gonfaloniere di Arezzo, negò a Garibaldi e alle sue truppe l’ingresso in città". Ed è questa appunto la prima cosa da rettificare perché il Guadagnoli negò in effetti l’accesso a Garibaldi, ma perché costretto dal Prefetto Gregorio Fineschi, noto negli ambienti liberal-democratici come “gran forcaiolo”! Tale lo considerava anche il Guadagnoli che provvide a rifornire nottetempo la “banda rivoluzionaria” di viveri e generi di conforto e per la rabbia di aver dovuto sottostare all’imposizione poco dopo si dimise dalla carica.
Il Guadagnoli infatti, con buona pace della Novoli, era di sentimenti decisamente liberali e nutriva, da borghese “illuminato”, decisa simpatia per tante istanze democratiche, nascondendo spesso sotto pose brillanti e disimpegnate, cariche di sottintesi maliziosi e di arditi doppi sensi, ruvide critiche alla burocrazia granducale, alle mode vanesie e ai costumi bigotti, raggiungendo sovente la tensione della satira vera e propria.
Cosa che ingiustamente ebbe a negargli, con una celebre stroncatura, tanto cruda quanto ingenerosa, il Leopardi allorquando lo sentì recitare sue poesie nel salotto di madama Mason, alias lady Margaret King contessa di Mountcashell: "Guadagnoli - scrive nello Zibaldone (4422-4423)- recitante in mia presenza all’ Accademia dei Lunatici di Pisa, presso madama Mason, le sue Sestine burlesche sopra la propria vita, accompagnando il ridicolo dello stile e del soggetto con quello dei gesti e della recitazione. Sentimento doloroso che io provo in casi simili, vedendo un uomo giovane, ponendo in burla se stesso, la propria gioventù, le proprie sventure e dandosi come in spettacolo e in oggetto di riso…".
Come non avvertire in questo ritratto, se non proprio una certa invidia per il successo che il Nostro otteneva nei salotti alla moda, specie presso le donne (che sono le destinatarie ideali di quasi tutta la sua produzione!), certamente un momento di umor nero, tanto più che alla fine Giacomo onestamente riconosce al giovane “collega” che questo suo atteggiamento "è congiunto ad un riso sincero e ad una perfette gaieté de coeur"!
I capolavori del Guadagnoli rimangono le poesie giocose, che pur celano spesso l’aculeo sotto la patina brillante, come Il Naso, La lingua di una donna messa alla prova (è la sua cosa forse più famosa e popolare: la storia di Gosto e Mea), Il color di moda, I baffi, Il tabacco, La vita monastica e, soprattutto, L’assiderata giovane svedese, capolavoro, all’insaputa dell’autore, del genere distopico!
Esemplare del suo stile è Il naso, dove il Nostro scherza sulle proporzioni del suo lungo naso che piace alle donne, raggiungendo i massimi risultati di franca comicità con la perfetta padronanza dei giochi di parole à double entendre, carichi di un’arguzia tutta toscana, accattivante ed estrosa: "Donne, perché se qualche volta a caso gli occhi senza pensarci in me volgete, io vi sento esclamar: “Guarda che naso!” E sotto i baffi poi ve la ridete? L’ornamento più bel d’un uomo intégro vi desta, donne mie, l’umore allegro! Se piaciuto è alla provvida natura fornirmi d’un naso magistrale, al par di me, donne, sapete bene che bisogna pigliarlo come viene! Anzi vi giuro sulla mia parola, parola di poeta e di dottore, che questo naso fece sempre gola a chi seppe comprenderne il valore: ché indizio è un naso maestoso e bello di gran … di gran che ? Di gran cervello!". Era, ed è in qualche modo ancora credenza diffusa che le dimensioni del naso di un uomo siano rivelatrici delle dimensioni di qualcos’altro:"cuanto a uscello ho pprotenzione che ggnissun frate me po’ ffa ppaura: basta a gguardamme in faccia er peperone" (Belli, sonetti romaneschi).
Poeta di genuina vena popolare, dunque, il Guadagnoli che seppe suscitare l’interesse e perfino l’imitazione di Giuseppe Giusti il quale ebbe a scrivere di lui che "aveva nella testa la lanterna magica delle bizzarrie" (Epistolario, I, Firenze 1931, p. 218). Di fatto dell’apertura sincera del Guadagnoli verso gli eterni perdenti con una visione realistica, e soprattutto non paternalistica della situazione sociale dell’epoca, sono prova certa le sestine -tutte da rileggere e rivalutare- con cui per anni aprì il famoso lunario “Sesto Caio Baccelli”, che gli fruttarono continui attacchi della censura e soprattutto la sua novella più celebre, “Menco da Cadecio” che narra la storia di un giovane contadino che non può sposarsi a causa della prepotenza dell’avido padrone che gli sottrae la giusta mercede.