
Una foto di molti anni fa: Gabriella insieme al marito Bruno e ai figli in vacanza
Negli occhi aveva ancora l’enorme striscione con la foto di suo marito, sventolato dai tifosi della Fiorentina sulla curva Fiesole. E ieri sarebbe dovuta andare a Firenze, in Regione: a vedere un altro striscione, stavolta sventolato dalle autorità. Ma la morte l’ha bloccata prima. Si è spenta Gabriella Bernardini, un ciclone di idee, di iniziative e da qualche anno di rabbia. Bruno Beatrice, il marito, era morto 38 anni fa, nel pieno degli anni, spezzato dalla leucemia. Da allora combatteva per cercare la verità. Quella sulla quale non aveva mai dubitato. "L’ha ucciso il calcio". Il calcio, terapie intensive per riportarlo in campo prima del tempo, "flebo giganti" che ancora aveva negli occhi. La terapia ai raggi X scelta per combatterne la pubalgia, quando altri medici avevano consigliato solo riposo e impacchi caldi. Dal suo albergo di qualità "I Portici", che aveva gestito per anni, non dimenticava mai quale fosse la priorità della sua vita: Bruno. E così i suoi figli, Alessandro e Claudia. Con le accuse ma anche con la solidarietà: come il memorial Beatrice, i riconoscimenti nel nome del babbo, le associazioni per evitare che altri cadessero nella stessa trappola. Una si chiamava "Indiano", il soprannome che gli aveva dato Gigi Radice, un altro calciatore tosto, sullo stile di Bruno. La notizia della morte è arrivata poche ore prima della protesta istituzionale della Regione. Che ha chiesto un’inchiesta parlamentare: l’ultima spiaggia. Quella penale si era arenata in un’archiviazione, anche se sotto la spinta di Gabriella i Nas avevano agito, Guariniello si era interessato, il Pm di Firenze aveva completato le indagini. Tutto inutile. Da qui il filo di un ricorso civile ma soprattutto quell’inchiesta in sede politica, estesa alle altre ombre legate alla medicina nello sport e perfino al doping. Intanto Gabriella continuava il suo braccio di ferro con il mondo del calcio. "Me lo hanno rovinato e poi l’hanno scaricato" aveva tuonato quando Beatrice aveva scoperto quasi per caso che la Fiorentina lo aveva ceduto. E qualche anno dopo non sarebbe riuscita ad esultare neanche davanti all’inchiesta penale partita apparentemente di gran carriera. "È un risultato importante ma non so definire i miei sentimenti. Di sicuro sono arrabbiata, arrabiatissima. E se un po’ mi sento contenta è perché quantomeno qui si riconosce che io non sono la pazza visionaria che qualcuno diceva". Aveva visto da lontano ammalarsi e cadere altri compagni di squadra di Bruno, ognuno un dolore, la conferma che ci fosse qualcosa che davvero non funzionava nel porto delle nebbie del calcio. Di sicuro si è spenta sapendo che i figli avrebbero raccolto il suo testimone, così come per tanti anni l’avevano affiancata. Ieri la sua morte è stata pianta in largo anticipo dai tifosi della Fiorentina e dal museo viola prima ancora che nella sua Arezzo, ma c’è da immaginare che alla prossima partita in casa i fans amaranto si faranno sentire, la curva non la dimenticherà. Chissà, forse affiancando il suo volto a quello del suo Bruno, il gladiatore che la malattia gli aveva strappato troppi anni fa. Ma che per lei era sempre rimasto al suo fianco.