CAMILLO
Cronaca

Fanfani, un aretino alla presidenza dell’Onu Il compenso dopo la sconfitta sul Quirinale

Mandato scaduto 55 anni fa, nel 1966. Ricevette al Palazzo di Vetro Papa Paolo VI e tentò di fermare la guerra in Vietnam fra le polemiche

Camillo

Brezzi

Cinquantacinque anni or sono Amintore Fanfani, lo statista aretino tra i più importanti dell’Italia repubblicana, terminava un altro segmento del suo lungo percorso che si è snodato lungo la seconda parte del Novecento: Presidente della XX Assemblea Generale dell’ONU, nella sessione 1965-1966, un ruolo politico di grande rilievo. Anche questo aspetto non poteva essere dimenticato nella ricca attività promossa, un decennio fa in occasione del centenario della nascita di Amintore Fanfani, dal Centro Studi aretino, sotto l’impulso di Franco Ciavattini, che promosse, tra l’altro, un convegno a New York, dall’alto valore simbolico e storiografico.

Alla fine del 1964, dopo 21 votazioni, il Parlamento italiano elesse Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, in contrapposizione a Fanfani che non ebbe l’appoggio di tutto il suo partito, la Democrazia cristiana, e incontrò diversi ostacoli negli ambienti vaticani. Sarà il nuovo Presidente della Repubblica ad insistere con Fanfani affinché lo sostituisse come ministro degli esteri, nel rimpasto del secondo governo Moro nel marzo 1965. Nel frattempo, in vista della XX Assemblea delle Nazioni Unite, si doveva designare il Presidente che spettava a un paese europeo.

Dai cauti sondaggi emerse la candidatura di Fanfani, alla quale si contrappose quella del ministro degli esteri jugoslavo, Koca Popovic. Sia Saragat che Moro ritennero necessario non sottrarsi all’ alto riconoscimento, significativo per tutto il Paese, per cui Fanfani interruppe la missione in America Latina (al seguito di Saragat) e dal Perù raggiunse, il 20 settembre, New York, dove il giorno successivo ottenne i voti di 110 rappresentanti. Un italiano veniva eletto Presidente delle Nazioni Unite.

La pace era stata al centro dell’impegno umano, culturale, politico di Fanfani, a maggior ragione diviene basilare con il nuovo incarico. Nel discorso di insediamento del 21 settembre, Fanfani non mancò di evidenziare la non sempre efficace azione dell’Organizzazione, con la conseguenza che, non solo si assistette a "una vera e propria paralisi per le Nazioni Unite, ma, soprattutto, l’accettazione morale dell’idea che si potesse fare a meno delle sue decisioni senza che, per questo, la vita ordinata della stessa comunità internazionale potesse tranquillamente continuare a sussistere".

Nell’immediato gli ostacoli alla “difesa della pace” erano dati dal conflitto tra India e Pakistan; dall’ammissione della Cina nell’organizzazione delle Nazioni Unite, resa più impellente dopo che, il 16 ottobre 1964, aveva fatto esplodere l’atomica; dalla guerra nel Vietnam e dalla necessità di favorire l’avvio di un negoziato; dal problema del disarmo. Su quest’ultimo aspetto Fanfani era già intervenuto quale ministro degli esteri con un piano che prevedeva una “moratoria nucleare”; il 22 novembre all’assemblea dell’Onu farà approvare un primo testo sulla non proliferazione nucleare che sarà la premessa del Trattato del 1° luglio 1968.

Nel periodo della sua presidenza “dall’osservatorio più alto”, Fanfani accolse il 4 ottobre 1965 Paolo VI, il primo pontefice che interviene alle Nazioni Unite, con un importante discorso sulle questioni maggiormente dibattute in quel momento, compresa l’ammissione della Cina nell’Onu: "Fate che chi ancora è rimasto fuori desideri e meriti la comune fiducia; e poi siate generosi nell’accordarla".

La guerra nel Vietnam intrapresa dagli Stati Uniti determina una crisi politica, militare, diplomatica lungo gli anni sessanta e settanta, vani i numerosi tentativi per porvi fine. Durante la presidenza all’Onu, Fanfani si impegnò anche in questo ambito: è ben nota la missione del suo amico Giorgio La Pira ad Hanoi nell’autunno del ’65 e, soprattutto, le polemiche che seguirono, per alcuni rivelazioni di stampa assai controverse. È il caso di sottolineare come questo episodio sia per certi versi la punta dell’iceberg di una più ampia attività svolta da Fanfani a favore della pace e come egli ritenesse essenziale avviare qualsiasi forma di trattative per offrire – come scriveva al Presidente Lyndon Johnson - "il contributo alla ricercata pacifica soluzione, sempre più urgente e necessaria".

Gli intensi e numerosi colloqui intercorsi in quei mesi con capi di stato, di governo, ministri degli esteri, permisero a Fanfani di cogliere come la comunità internazionale indistintamente avesse apprezzato il “grido” lanciato dalla tribuna dell’Onu dal pontefice Paolo VI: "Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!". Non bisognava perdere tempo né farsi sfuggire qualsiasi occasione per mettere in moto la non facile macchina dei negoziati.

Il grande riserbo che aveva contraddistinto questi tentativi del Presidente dell’ONU furono interrotti improvvisamente e paradossalmente da un giornale di Saint Louis, si trattò di un fatto tanto eclatante da spingere il governo americano a porre fine al segreto e rendere pubbliche le missive intercorse con Fanfani.

Forse anche in questa occasione possiamo riprendere il commento di un bravissimo giornalista di politica estera come Igor Man che, ricordando "quella drammatica stagione di morte e disperazione" che fu la guerra del Vietnam, ma anche i non pochi tentativi di accendere delle speranze per porre le basi di una pace, amaramente notava che "furono i Dottor Stranamore che avevano invaso la Casa Bianca a spegnere quella luce".