LAURA LUCENTE
Cronaca

Falzano, parla l’unico superstite "La strage sempre nei miei incubi e i soldi non cancellano l’orrore"

Il 27 giugno 1944 Gino Massetti era un ragazzo. Fu chiuso con altri 11 in una cascina fatta esplodere dai nazisti

Falzano, parla l’unico superstite "La strage sempre nei miei incubi e i soldi non cancellano l’orrore"

di Laura Lucente

Vive nel ricordo di quei giorni, ma né allora né oggi, ha chiesto un risarcimento per quanto subì. Gino Massetti, unico superstite della strage di Falzano, vive a Camucia accudito amorevolmente dalla moglie Onelia, al suo fianco da ben settanta anni. Sulle spalle porta 94 primavere e la sua memoria, anche a causa di un incidente di qualche anno fa, quando venne travolto da un’auto sulle strisce pedonali, è un pò ballerina. Ma quello che accadde a Falzano, il 27 giugno 1944 resta, comunque, qualcosa di indelebile.

Gino era poco più che adolescente quando finì insieme a dodici uomini rastrellati a caso dai militari della Wehrmacht, rinchiuso in una fattoria della montagna cortonese fatta poi esplodere con tubi di gelatina come rappresaglia per una imboscata di partigiani. Prigionieri in una gabbia pronta a saltare in aria, una trappola mortale.

"Provai più volte a scappare prima che ci facessero saltare in aria- racconta Massetti – ma loro erano tanti e mi buttarono nella cascina, poi sigillarono tutto per impedirci di uscire". Il piano di morte doveva funzionare alla perfezione per i nazisti che quel giorno avevano deciso della vita di dodici persone.

Gino si salvò per miracolo. Alcune ore dopo, sotto le rovine ancora fumanti della cascina ridotta a un cumulo di macerie, una contadina che cercava il suo cagnolino, trovò quel ragazzino, terrorizzato ma ancora vivo. Era rimasto coperto da una trave, ustioni sul corpo provocate dall’esplosione e quasi paralizzato dal peso che, paradossalmente, lo aveva protetto. "Rimasi infermo per più di un anno", racconta Gino, ma poi "fortunatamente mi ripresi, anche se lo strascico di quelle ferite fisiche me le sono portate dietro tutta la vita. A 17 anni mi sono arruolato nell’Arma dei carabinieri e per 43 anni ho servito il mio Paese. Non è stato un senso di rivalsa, amavo l’Arma e ho scelto di servire".

Al suo fianco fin da giovanissimo c’è sempre stata la moglie Onelia, anche lei cortonese doc, che lo ha seguito in lungo e in largo per l’Italia, fino al giorno in cui sono tornati nella loro terra d’origine. Un ritorno alle radici, per Gino, dopo un lungo peregrinare da maresciallo comandante di stazione.

"Ci siamo conosciuti ad una festa da ballo organizzata dopo la guerra, a Vaglie. È stato un colpo di fulmine. Da allora non ci siamo più lasciati". Dalla loro unione sono nati due figli, Massimo e Marco oggi affermati professionisti, il primo cardiochirurgo al Gemelli a Roma e il secondo manager di una grande azienda in Germania.

"Per anni Gino si è tenuto tutto dentro – racconta la moglie Onelia – c’è voluto tempo prima che mi raccontasse nel dettaglio la tragedia di quei momenti. Quando prestava servizio nelle Marche e andavamo al mare, sentiva l’accento tedesco di alcuni villeggianti e si incupiva subito, chiedendomi spesso di rincasare. Un incubo che non finisce".

In questi anni Gino Massetti è stato convocato dai tribunali della Spezia prima e di Monaco poi, per ripercorre ciò che accadde. Un capitolo di storia uscito dall’oblio solo nei primi anni 2000. Nel 2002 l’allora sindaco Emanuele Rachini denunciò la strage al Tribunale di La Spezia, competente anche per la Toscana e due anni più tardi vennero stabiliti i primi contatti tra La Spezia e la Germania, precisamente con Dortmund, dove si trova la sede centrale della Procura che si occupa dei crimini di massa del nazionalsocialismo.

Gino Massetti venne ascoltato dal tribunale di Monaco nell’ottobre 2008. Il processo portò all’ergastolo Herbert Stommel, ex maggiore della Wermacht, e Josef Scheungraber, ex sottufficiale ritenuti responsabili della strage di Falzano.

"Oggi non serbo più rancore – conferma Massetti - ma dimenticare è impossibile. Impossibile non ricondurre la responsabilità di quanto accadde ai tedeschi. Ho scelto in questi anni di non chiedere un risarcimento economico. I soldi non possono cancellare l’orrore della storia né riportare indietro nessuno".