
di Salvatore Mannino
Primi per export procapite nel 2019 (il certificato ce lo mette il Sole 24 Ore con la sua classifica della qualità della vita) e primi anche nei primi nove mesi del 2020, l’anno maledetto del Covid anche per l’economia. Parola del’Istat, che per ora fornisce solo il quadro d’insieme, cioè le province che sono andate meglio, ma non le cifre e i settori che hanno giustificato queste performance. Arezzo, insomma, si ritrova in vetta insieme a Gorizia ma senza ancora sapere il perchè.
Mistero senza fine bello? No, segreto di Pulcinella. Nei mesi in cui il resto della manifattura, dai gioielli alla moda, arrancava, la locomotiva l’hanno fatta ancora i lingotti, in quella che pare una corsa senza fine. Il motivo è fin troppo noto: la congiuntura rallenta, la recessione più che un’ombra sul futuro è una realtà del presente e gli investitori si riversano sul più classico dei beni rifugio, l’oro che poi significa lingotti. E di questi parallelepidi dorati gli aretini sono tra i maggiori produttori mondiali, coi cinque cavalieri Chimet, Italpreziosi, Tca, Safimet e Sampa.
Probabile poi che un contrbuto lo abbiano portato le aziende dell’alimentare che non hanno avuto pause, come Buitoni e Fabianelli, grandi nomi della meccanica come Borri, Saima e Ceg che non si sono mai fermate, oltre al fenomeno Tratos, che ha vinto un mega-contratto con Telecom ma è fortissima anche all’estero, sopratto in Gran Bretagna.
Piccole luci su un panorama grigio, come dice anche il rapporto Excelsior di Camera di Commercio diffuso ieri. Il 58 per cento delle aziende interpellate spiega di aver subito gli effetti del Covid e di essere sotto, solo il 38 (ma non è un numero disprezzabile considerando il periodo e la devastazione del virus) è rimasta in linea con l’anno passato. Il residuo 6 per cento è addirittura finito fuori mercato, con l’attività ancora sospesa. Prospettive che sono più o meno identiche a quelle del resto della Toscana e un po’ peggiori ma non troppo della media nazionale. Segno che le imprese aretine sono state colpite ma non affondate dall’annus horribilis.
La manifattura comunque soffre un po’ meno dei servizi, mentre ci sono interi settori, come il turismo-ristorazione che restano a terra, con l’80 per cento degli interpellati che dice di lavorare ancora a ritmo ridotto. Verrebbe voglia di dire che è normale, visto che sono chiusi, ma la ricerca è precedente alla stretta di novembre.
Infine il futuro. Il 69 per cento delle aziende sentite nel corso della ricerca è convinta che ci vorrà l’intero 2021 per riguadagnare il tempo perduto, mentre il 38 per cento crede di potercela fare in sei mesi. Beati quelli per i quali la speranza non muore mai.