
Don Dino Liberatori
Arezzo, 1 novembre 2020 - Lo aveva aspettato fuori dalla chiesa, proprio come nel giorno del suo matrimonio: e lì voleva che lo ritrovasse, anche se stavolta per il funerale della moglie. Don Dino Liberatori era così, uno di quei pastori che sapevano unire la delicatezza del gesto ad una contagiosa capacità di accoglienza. Se ne è andato ieri, piegato all’ultima curva di una malattia con la quale conviveva da tanti anni.
Anni nei quali non aveva mai perso la fiducia e soprattutto il sorriso. «La morte? In fondo non esiste. E’ solo una barriera tra due modi diversi di esistenza» diceva sempre. Settantasette anni, aretino doc, straordinario conoscitore della Bibbia. Un ruolo per il quale lo cercavano da tutta Italia: quando poteva diceva sempre sì, generoso fino allo sfinimento, disponibile ai piccoli gruppi come alle grandi realtà comunitarie.
Si è spento a Siena, dove era ricoverato, accanto alla sorella, medico, che lo ha seguito in tutta la sua malattia. Ma l’addio la diocesi glielo dirà martedì mattina alle 11,30, in Cattedrale. La sua Cattedrale, anche se era innamorato delle piccole chiese. A cominciare da quella del carcere, che aveva contribuito a sistemare, coinvolgendo gli stessi detenuti.
Cappellano da oltre 30 anni, aveva costruito all’interno legami al di là del suo ruolo, anche con il personale. Per i 50 anni di sacerdozio gli avevano fatto trovare una torta con le candeline: e l’allora direttore Paolo Basco lo aveva aiutato a spegnerle.
Era stato a lui che padre Gratien, allora solo accusato e poi condannato per il delitto di Guerrina, si era rivolto appena entrato in carcere. Per chiedergli una Bibbia e un rasoio. Don Dino non entrava mai nel merito dei reati, era lì per un altro motivo e non aveva dubbi.Tra i primi a organizzare il Natale e la Pasqua in carcere, chiamando i volontari, tirando dentro i detenuti per la lavanda dei piedi.
Bassetti,che ora è in ospedale per il Covid, non perdeva una festa e così il suo successore Riccardo Fontana: sarà lui martedì a celebrare il funerale in Cattedrale, che senza i limiti Covid sarebbe stata strapiena. Era stato parroco qualche anno in piazza Giotto, al Sacro Cuore: ed è lì che ieri la voce è corsa commossa, di casa in casa, tra quanti non l’avevano mai dimenticato.
«Guardate che bel sole è arrivato per il vostro matrimonio» ma sarebbe stato l’ultimo raggio prima dell’acquazzone. Ma per don Dino il bicchiere, il bicchiere della fede, non era mai mezzo pieno. Era stracolmo, perfino nei momenti peggiori. Per anni docente di Sacre Scritture all’Istituto di scienze religiose: citava la Bibbia a memoria, saltando da una pagina all’altra con l’agilità dei grandi studiosi.
Ai tempi di piazza Giotto era stato in Russia con la Comunità invitato da Raissa Gorbaciova, alle radici della futura Rondine. E ai meno 30 gradi di Leningrado si stringeva nel cappotto fino a diventare piccolo piccolo. La notizia della sua morte è passata prima nel gruppo whatsapp gli «amici di don Dino», lacrime che ieri sono corse per tutta la città. Lui le avrebbe rigettate indietro.
«Ringrazio sempre Dio – ci aveva detto una volta – per l’opportunità che mi ha dato di vivere, di fare apostolato, di annunciare il Vangelo a tutti». E ha continuato a ringraziarlo, anche nel pieno della malattia. «Bene» rispondeva a chi gli chiedeva come stava, perfino dal letto dell’ospedale. A cavallo dell’ultimo raggio di sole