GAIA PAPI
Cronaca

Dormitorio San Domenico, dove ripararsi dal freddo e da cui la vita può ripartire

Ogni inverno, sono molti i senza tetto che vi trovano rifugio nella notte. Con loro hanno poche cose, tante storie però e qualcuno anche molti sogni

Dormitorio

Arezzo, 14 marzo 2019 - Un letto pulito, un tetto sotto cui dormire, una doccia calda. Ma anche un luogo di speranza, in cui si fortifica il desiderio di cambiamento. Il centro di accoglienza San Domenico di Arezzo non è un semplice dormitorio, ma un luogo da cui la vita può ripartire. Qui le persone senza dimora trovano un rifugio temporaneo per riposarsi al riparo dal freddo della notte e dalle insidie della strada, e per tornare a prendersi cura di sé. E questo grazie anche alla fitta rete di aiuti che si dipana in tutto il territorio. Una vera “rete di salvataggio” a cui ancorarsi quando si è persa la rotta.

Il dormitorio è una risposta che dal 2013 viene data in collaborazione tra Caritas e amministrazione comunale, rafforzatasi nel 2016 quando il Comune trovò un nuovo locale, una struttura più adeguata, a piano terra del palazzo Fossombroni in piazza San Domenico, appunto. Un edificio storico che, dopo adeguata ristrutturazione, ha aperto le sue porte. Da allora, ogni inverno, sono molti i senza tetto che vi trovano rifugio nella notte. Con loro hanno poche cose, ma tante storie e qualcuno anche molti sogni.

Alcuni hanno un passato costellato di errori. Errori grossi pagati con anni e anni di galera. Poi la vita che torna, ma diversa, diversissima. Da soli, senza più una famiglia ad attenderli, senza una casa, né un lavoro. Poveri. Di nuovo nel mondo, ma ora per affrontare un reinserimento sociale che sembra difficilissimo, un ricollocamento in uno spazio di cui non conoscono più i confini.

Il passato, per qualcuno caratterizzato da una buona istruzione e da un lavoro è lontano. Sono vicini, invece, gli errori commessi, che tornano a chiedere il conto. Bussano alla coscienza soprattutto la notte, anche quando è meno fredda tra le mura del dormitorio. “Ma molti di loro vogliono rimettersi in gioco, rifarsi una vita” spiega il vicedirettore Alessandro Buti.

“Cerco serenità, equilibrio, ripartendo da un lavoro”: è quasi un mantra quello che ripetono. E il lavoro è l’elemento principale, chiave di volta per essere di nuovo accettati dalla società. Ancora più importante dei legami famigliari. “Di cui non parlano quasi mai. Forse il dolore dell’abbandono, la consapevolezza dei propri errori e delle sofferenze procurate, soffoca ogni ricordo”: continua Buti. Qui ogni loro forza emotiva cade, sono spogliati di ogni orpello, solo pervasi dai loro bisogni.

“Quello che mi colpisce sono le persone che hanno voglia di riscatto. Quelli con una luce negli occhi con cui guardano speranzosi al futuro. Che vogliono uscire dall’immobilismo dato dalle loro difficoltà”, spiega Buti. Qualcuno di loro è in costante contatto con agenzie interinale in cerca di un posto di lavoro. Altri stanno già seguendo corsi per formarsi, e c’è chi, come un giovane ragazzo del Senegal, ce l’ha fatta ed ora è lì, come volontario, ad aiutare chi ancora sta nuotando a gran bracciate in cerca della sua isola felice. Lui che quella tormenta l’ha affrontata e ne è uscito.

“Voglio far di tutto per riprendere in mano la mia vita”: dicono in molti. Non per tutti è così, sia chiaro. “Tanti sono dipendenti da alcol e da sostanze stupefacenti. Per loro il dormitorio è solo un rifugio, un mezzo che fa compagnia, un luogo per scaldarsi”: continua Buti. Molte, infatti, sono le persone che hanno attraversato un percorso di recupero all’interno di una comunità. Storie non sempre a lieto fine. Vuoi la solitudine, la debolezza che si è fatta sempre più forte, ricadere in certe abitudini, ormai così confortevoli, diventa fin troppo semplice.

Alla ricerca del lieto fine c’è un giovane che proverà ad entrare in una comunità in cerca di riscatto. Per lui il dormitorio rappresenta quella famosa fase di speranza per riprovarci, sostenuto, dentro e fuori da qui, dalla rete territoriale di aiuti.

L’accoglienza a San Domenico inizia alle 20,15. Alle 22,30 si chiudono le porte e si spengono le luci, fino alle 8 della mattina seguente. Al dormitorio si entra, rispettando gli orari, e per una notte si condivide l’accoglienza con altri 24 senza tetto.

ll dormitorio nel tempo è cresciuto, diventando patrimonio condiviso dalla città, dal mondo del volontariato e da quello dei quartieri della Giostra del Saracino. Quest’anno il piccolo esercito silenzioso è più grande, sono ottanta le "sentinelle" che regalano un po’ della loro vita, tra servizio notturno e servizio di pulizia. Appartengono alle realtà più diverse. Un luogo, quello del dormitorio, che si è dimostrato centro di aggregazione di sensibilità lontane fra di loro. Per ricordarne solo alcuni, c’è la Federico Bindi Onlus, diversi parrocchiani, quartieristi di Porta del Foro, l’associazione Bangladesh, l’associaizone chiesa evangelica Romena del Casentino. Ma anche l’ordine dei cavalieri di Malta, il gruppo del cenacolo francescano dei cappuccini, due sacerdoti, tanti singoli cittadini e alcuni stranieri, arrivati in città in cerca di fortuna, e che qua hanno trovato la loro dimensione, i loro spazi.

“C’è sempre bisogno di volontariato, di volontariato cittadino, di persone nuove che possano dare una mano alla struttura. Ha spiegato monsignor Giuliano Francioli, il direttore della Caritas, perché tanto c’è da fare e c’è lavoro per tutti. Il nostro è un lavoro speciale: non c’è retribuzione per quello che si fa, ma solo la consapevolezza di aver portato il proprio granello di sabbia al bene comune. E questo non ha prezzo, ma è capace di arricchire chi lo riceve e, soprattutto, chi lo fa”.

Ogni sera tre volontari aprono le porte del dormitorio, offrendo il loro servizio, e insieme due orecchie per ascoltare e un sorriso per riscaldare il cuore.