
di Silvia Bardi
Era tra coloro che in piazza del Comune durante le prime chiusure chiedeva sostegno a nome delle palestre, delle scuole di danza, delle associazioni sportive. Le prime a chiudere e le ultime a ripartire. Un anno di fermo è difficile, un macigno a livello economico e lavorativo, e si teme che in molti non riapriranno nemmeno quando sarà consentito. Fare scuola di danza a distanza è quasi impossibile, anche se l’impossibile è stato tentato con attività fisica all’aperto o addirittura on line per mantenere le sue ragazze in allenamento. E così la storia di Letizia Bonciani, insegnante di danza, titolare della Let Me Dance di Pieve al Toppo, è emblematica, una storia simbolo per tanti nelle sue stesse condizioni.
Ferma da un anno, ancora in attesa di un ristoro da 800 euro che non copre nemmeno una minima parte di quanto perso in un solo mese di lavoro, era disposta a fare qualsiasi cosa per di continuare a portare uno stipendio a casa. Lo trova, due ore al giorno per conto di una ditta di pulizie, fa anche la prova e sta per firmare il contratto quando scopre che se accetta quel lavoro da duecento euro il mese perde il ristoro per la sua scuola di danza. E così deve rinunciare al nuovo lavoro.
Un altro paradosso dell’era Covid, girandola di numeri e provvedimenti che non tengono conto delle persone e delle conseguenze sulla vita reale. "Abbiamo continuato a pagare le utenze e gli affitti per non perdere le nostre sedi, ma noi come privati lì dentro nelle nostre scuole e nelle nostre palestre non ci siamo più entrati. I nostri lavori sono stati considerati pericolosi e superflui - si sfoga Letizia - anche se l’attività fisica è tutt’altro che superflua anche dal punto di vista psicologico, soprattutto durante la pandemia. Ma la cosa più assurda è che ho dovuto rinunciare al lavoro perché se accetto qualsiasi altro lavoro, anche con una retribuzione di 100 o 200 euro come quella che avevo trovato, perdo l’idoneità al ristoro una tantum. Non solo ci danno una miseria, ma ci impediscono di fare qualcosa per sopravvivere".
La denuncia di Letizia apre un portone su un mondo di attività simile alla sua, lo stesso per chi gestisce palestre, scuole di danza, attività sportive da privato. I ristori se hai uno stipendio extra anche minimo rischiano di saltare: "Fra l’altro il rimborso una tantum per un anno intero viene calcolato in maniera diversa anche se uno ha la partita Iva. Io l’avevo aperta perché oltre alla scuola di danza fornivo alle mie allieve i costumi . Il ristoro riconosciuto è del 30%, una cifra ridicola, calcolata sulla media mensile degli anni 2019 e 2020, briciole in confronto agli affitti da pagare nella speranza di poter riaprire l’attività, alle bollette, agli stipendi dei dipendenti. Proprio in questi due anni avevo aperto una sede a Castiglion del Lago, mi ero accollata il sacrificio di non mettere niente da parte perché ho investito molto in questa nuova avventura, così mi sono ritrovata senza risparmi. Per vivere, anzi per sopravvivere, a noi non resta niente".