Così la mafia è diventata uno "stato illegale"

E’ il titolo del libro che sabato sarà presentato da Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte, due magistrati che Cosa Nostra la conoscono bene

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di Salvatore Mannino

Lo stato mafioso che hanno combattuto da magistrati lo raccontano adesso nell’ultimo libro nato dalla loro collaborazione, a firma appunto Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte, due delle figure d’eccezione di questa edizione del Moby Dick (sabato alle 19), ancora una volta nel senso dell’impegno civile in una terra, il Valdarno e in genere la provincia di Arezzo, immune sì dalla presenza armata delle mafie ma non per questo estranea alle infiltrazioni. Basti ricordare in materia alcuni passaggi di Roberto Saviano in "Gomorra" o anche un omicidio mai risolto, oscuro e inquietante, come quello dei fratelli Talarico, proprio nelle campagne di Terranuova.

I personaggi sono troppo noti per aver bisogno di presentazione, in particolare Giancarlo Caselli, un protagonista della stagione giudiziaria che va dal terrorismo rosso a Torino alla secondo primavera di Palermo, dopo le stragi mafiose di Capaci e via d’Amelio, fatali a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Di lui sarà sufficiente ricordare che si insediò a procuratore capo di Palermo, carica per la quale si era offerto volontario appunto dopo i due attentati, nel giorno in cui (gennaio 1993) veniva arrestato Totò Riina. Il ruolo di Guido Lo Forte è un po’ meno conosciuto dal grande pubblico, ma altrettanto incisivo: sostituto procuratore a Palermo negli anni in cui Falcone e Borsellino erano le punte di lancia dell’ufficio istruzione, aggiunto di Caselli, uno dei tre Pm del più clamoroso dei processi di mafia di quegli anni, quello contro Giulio Andreotti, ispirato proprio da Caselli. Ha chiuso la carriera da procuratore capo di Messina.

Ma adesso, nel presentare il libro che Caselli e Lo Forte porteranno al Moby Dick, più delle rispettive carriere conta il titolo, che è già esplicativo del contenuto: "Lo stato illegale. Mafia e politica da Portella della Ginestra a oggi". La tesi è chiara: Cosa Nostra è ben più di un’organizzazione criminale, è uno stato nello stato, che convive con quello ufficiale nello stesso territorio, amministrando una propria giustizia ed esercitando un proprio utilizzo della forza (il)legittima. Le caratteristiche insomma di un’organizzazione statuale: il territorio, la popolazione (non solo gli affiliati alle cosche ma anche quanti ne sopportano il potere, pagando persino una tassa illegale come il "pizzo") e il monopolio (duopolio con lo stato ufficiale) dell’uso della forza.

Inevitabile che in questa convivenza di due apparati statuali, la politica diventi terreno di scambio fra l’uno e l’altro, profondamente infiltrata dai tentacoli della Piovra, con un’economia che assomiglia a un tessuto tumorale, nel quale è difficile distinguere le cellule buone da quelle maligne.

Chi conosca un po’ la storia della Sicilia, sa che le prime denunce di questo stato di cose cominciano dall’inchiesta di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti del 1876 ma è nella strage di Portella della Ginestra del 1947 che l’intreccio mafia-politica emerge clamorosamente. Il massacro viene materialmente compiuto dalla banda di Salvatore Giuliano, ma dietro c’è la mafia che fenomeno rurale sta diventando fenomeno urbano e alle spalle di quella ancora oscure collusioni politiche mai chiarite del tutto e che verranno evidenziate ancora dalla fine di Giuliano, ucciso nel 1950 in circostanze tuttora misteriose.

Il resto è una storia in cui politica e mafia si intersecano fino al punto di non capire più dove comincia l’una e finisce l’altra: il sacco di Palermo degli anni ’60, Vito Ciancimino, Salvo Lima, i grandi omicidi mafiosi (come dimenticare quello del generale Dalla Chiesa nel 1982?), la vendetta dei corleonesi dopo il maxi-processo istruito da Falcone e Borsellino che costa la vita allo stesso Lima, la stagione del terrore mafioso portato in continente, a Firenze, Milano e Roma, la trattativa stato-mafia che resta un buco nero. Una grande storia siciliana, una grande storia italiana. Senza lieto fine.