LUCIA BIGOZZI
Cronaca

C’era una volta il medico di base: "Zone scoperte, serve una scossa". La ricetta del presidente dell’Ordine

Droandi indica errori di programmazione arrivati da lontano. "Una branca non più scelta come un tempo" "Turni massacranti, vita privata azzerata". I problemi già dopo la laurea. La nuova rete di ambulatori.

C’era una volta il medico di base: "Zone scoperte, serve una scossa". La ricetta del presidente dell’Ordine

C’era una volta il medico di base: "Zone scoperte, serve una scossa". La ricetta del presidente dell’Ordine

Caccia ai medici di famiglia. In Toscana mancano 250 camici bianchi secondo l’allarme dei sindacati e "vuoti" ci sono anche in provincia, sopratutto nelle zone montane di Casentino e Valtiberina. Una "emorragia" che rischia di calare nei centri più grandi e minacciare perfino la città. La ricetta? "Servono incentivi per i giovani laureati a scegliere il corso di formazione in medicina generale e ad accettare ambulatori nelle zone più periferiche", spiega Lorenzo Droandi, presidente dell’Ordine dei medici aretini.

Droandi perchè mancano i medici di famiglia?

"È un problema complesso che viene da lontano e ha a che fare con una mancata programmazione. Negli anni è calato il numero di laureati sia per scegliere il corso di formazione, sia per accettare ambulatori in zone periferiche. Inoltre, la borsa di studio è inferiore a quella degli specializzandi ospedalieri. È un elemento che scoraggia, oltre al problema delle zone periferiche".

Quali sono quelle scoperte in provincia?

"Criticità ci sono nell’alto Casentino e in Valtiberina per quanto riguarda la copertura dei pediatri di base. Ma qui entrano in gioco una serie di valutazioni che il medico di famiglia si trova a fare prima di accettare l’incarico lontano da casa".

Quali?

"I costi di gestione sono elevati. Un medico deve pagarsi l’affitto dell’ambulatorio e decurtare dallo stipendio le spese per il personale di studio, infermiera e segretaria, oltre alla macchina e le spese correnti".

Come se ne esce?

"Servono iniziative che incoraggino il medico di famiglia, già dal corso di formazione. Misure che rendano appetibile questa professione. Come peraltro accade per i medici del Pronto soccorso.

Cos’altro?

"Ci vuole una organizzazione adeguata, in grado di attenuare il carico di turni massacranti e l’azzeramento della vita privata".

La rivoluzione che potenzierà la rete di Case e Hub di comunità può aiutare?

"È un progetto valido, così come i micro-team con medico, infermiere e segretaria. Immagino che una volta in funzione, prendiamo ad esempio l’Hub di Bibbiena con ambulatori dei medici di famiglia, si abbia una copertura a Ortignano Raggiolo dove magari un infermiere possa andare per alcuni giorni a settimana in contatto col medico e pronto a farlo intervenire nei casi più urgenti. Non è facile ma è un’idea che si può perseguire".

Ma se i giovani laureati preferiscono altre professioni, come si colma il gap con chi va in pensione?

"La mancata programmazione nel tempo, fa sì che si arrivi a questo punto. Venti anni fa c’era una pletora di medici, oggi c’è carenza ma la responsabilità è di chi ha governato a livello centrale - e non è una questione di colore politico - e che non ha saputo attivare misure per evitare sbilanciamenti e vuoti".