SALVATORE
Cronaca

Cavriglia 1944: cronaca di un massacro

Nel romanzo-verità di Filippo Boni la strage (200 vittime) mai punita che portò l’orrore nazista in tre paesi. Filo narrativo la sua famiglia

Salvatore

Mannino

C’è un altro mosro degli orrori di guerra nazisti che riappare dalle nebbie di una storia che non l’ha mai visto condannato, un altro esemplare della banalità del male come il capitano Heinz Barz, regista della strage di Civitella, o il tenente Klaus Konrad, che indicò come partigiani tutti i rastrellati dell’eccidio di San Polo. Si chiama (si chiamava) capitano Wolf e fu lo stratega di un altro massacro, quello di alcune località nel comune di Cavriglia, da Castelnuovo a Meleto e San Martino d’Avane, il 4 luglio 1944, quasi a metà fra Civitella (il 29 giugno) e San Polo, il 14 luglio. compiuto come Vallucciole (13 aprile) e ancora come Civitella, dalle truppe della famigerata divisione Hermann Goering, una delle più feroci e fanatizzate che l’esercito di Hitlet abbia messo in campo.

Compare già nelle carte dell’inchiesta britannica realizzata subito dopo la Liberazione, a pochi giorni dalla strage, ma nessuno l’ha mai processato. Di più, nessuno ne ha mai sentito parlare, almeno a livello di grande pubblico, finchè Filippo Boni, non ne ha fatto un protagonista (fin troppo sadico) del suo romanzo-verità "Muoio per te", uscito da poche settimane per Longanesi. Romanzo verità, appunto, perchè è scritto sì in forma narrativa, ma tutto quello che c’è dentro è rigorosamente accaduto, compresa la storia della famiglia dell’autore che fa da filo conduttore, in un ordito che si tiene sul confine fra ricostruzione saggistica e libertà della scrittura diventando un racconto corale dell’unica fra le grandi stragi aretine per la quale nessuno abbia mai subito un giudizio. Neppure nella stagione dei grandi processi orchestrati dal procuratore militare Marco De Paolis: già allora gli assassini del 4 luglio erano tutti morti, anche i comprimari condannati per gli altri eccidi.

Dice Antonio Pennacchi, uno dei maggiori romanzieri italiani viventi, vincitore del premio Strega con "Canale Mussolini", che lui è nato apposta per scrivere la saga della famiglia Peruzzi nelle bonifiche Pontine. Ecco, anche per Filippo Boni, autore in passato di un altro testo, in forma di saggio, sulla strage e di altri volumi, sempre a metà fra ricerca storica e narrativa, questo sembra il libro della vita, il racconto delle sue radici, la piccola epopea della sua famiglia, che pagò anch’essa il prezzo di sangue dei massacri, con un nonno sopravvissuto che affida in limine mortis al nipote i fogli dai quali partire per ricostruire quei giorni tragici, nei quali persino lo zingaro di passaggio sente l’odore di morte che aleggia su Castelnuovo, terra di minatori, terra di lavoro antico.

Tra i protagonisti più autentici c’è appunto Annibale Boni, il bisnonno macellaio, il patriarca anarchico e mangiapreti di una vasta famiglia in cui Giuseppe, il nonno, è l’ultimo figlio. E attorno ai Boni ruota il piccolo universo del borgo: le miniere di lignite che davano lavoro ma toglievano la salute, la centrale elettrica, i contadini, i partigiani, il prete, Don Ferrante Bagiardi, che il patriarca non sopporta in quanto sacerdote ma rispetta come uomo che sarà poi capace di offrire inutilmente la sua vita in cambio di tutte le altre dei rastrellati in paese e che invece morirà insieme ai suoi parrocchiani, dopo aver offerto a tutti l’ultima comunione.

C’è anche un’altra storia nel libro, quella di Padre Alfonso, frate del convento di Montecarlo, sempre in Valdarno, poco distante, che custodisce uno dei capolavori del Beato Angelico, l’Annunciazione, e che sarà il primo ad affrontare l’ira funesta di Wolf quando questi scoprirà che il dipinto è stato messo al sicuro e lui beffato. Alcune delle pagine più felici, anzi, sono quelle dell’ultimo incontro-scontro fra il frate, con il piglio di un Padre Cristoforo, e l’ufficiale nazista. E sembra davvero che il francescano dica al Don Rodrigo in divisa “Verrà un giorno...".

"Muoio per te" (e non raccontiamo il motivo del titolo per non togliere al lettore il gusto di scoprirlo) è un romanzo che alterna molte pagine riuscite (che danno l’idea delle potenzialità narrative di chi scrive) ad altre in cui i personaggi e le parole sono un po’ più di maniera. La cornice storica è invece ineccepibile, frutto di uno studio intenso e di una conoscenza delle fonti, anche orali, sul modo in cui si prepara e si svolge la strage nei tre paesi, che nessuno aveva mai avuto e che sarà difficile ritrovare con tale intensità.

A cominciare dai perchè della politica del terrore che la Hermann Goering scatena sul territorio e contro la popolazione civile, come a Civitella, come a San Pancrazio: la necessità militare di tenere sgombre le vie di ritirata, di spezzare il rapporto popolazione-Resistenza, di evitare che i partigiani minaccino i movimenti dei tedeschi. Il prezzo lo pagheranno oltre duecento vittime (il quarto massacro in Italia dopo Marzabotto, Sant’Anna e le Fosse Ardeatine) e tre sacerdoti che si offrono tutti per salvare il loro popolo. Il come è il cuore, di terribile efficacia, di questo libro che lascia i brividi in corpo.