Caso Martina, carcere sospeso i condannati

La decisione della procura generale perché il reato è tentato. La Sorveglianza deciderà anche rispetto a risarcimento e revisione critica

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di Erika Pontini

Carcere sì, carcere no per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, colpevoli del tentato stupro della ventenne Martina Rossi, volata giù dal balcone dell’hotel di Palma di Maiorca 10 anni fa mentre fuggiva all’aggressione sessuale. L’esecuzione della condanna definitiva a tre anni di reclusione per i due imputati aretini è appesa alla decisione del tribunale di Sorveglianza di Firenze. Un verdetto non scontato. Ieri mattina la procura generale, diretta da Marcello Viola, competente a rendere esecutiva la sentenza della Quarta Sezione della Cassazione (che ha ritenuto inammissibili i ricorsi degli imputati) e reso definitiva la sentenza bis della Corte d’appello di Firenze, ha emesso l’ordine di carcerazione ma con la dicitura ’sospeso’. Il ragionamento è squisitamente giuridico: seppur i reati sessuali sono ostativi della concessione del beneficio che consente la concessione di misure alternative sotto i quattro anni di reclusione, non lo è invece il tentativo, ritenuto reato autonomo. E quindi si applica lo stop. Altrimenti per Albertoni e Vanneschi si sarebbero subito aperte le porte del carcere. Notificato l’ordine della procura generale i difensori hanno già annunciato di voler chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali.

"Ho ricevuto mandato dal mio assistito di fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo - ribadisce l’avvocato Buricchi, difensore di Vanneschi – ha ribadito l’avvocato Stefano Buricchi - e cosi faremo verificando se ci sono anche i termini per la revisione del processo visto che abbiamo ben 24 testi della difesa che non sono stati ascoltati, compresa la cameriera spagnola che raccontò di aver assistito alla caduta". Sulla possibilità di scontare un anno di carcere propedeutico ai servizi sociali, l’avvocato Buricchi è categorico: "È escluso categoricamente come riportato sul decreto che sospende la pena. L’affidamento in prova ai servizi sociali è la misura che farà poi espiare loro la condanna".

I giudici però non hanno vincoli. L’affidamento si può chiedere sotto i quattro anni di carcere da scontare ma nel giudizio influiranno enormemente non solo il risarcimento del danno (che non c’è mai stato) ma anche l’eventuale revisione critica del proprio operato. E’ vero che papà Bruno e mamma Franca non hanno mai quantificato il danno, affinchè la giustizia chiesta per la figlia ventenne morta non fosse inficiata da un aspetto economico, ma lo è altrettanto che la sentenza della Corte d’appello bis (quella oggi esecutiva) condanna gli imputati al risarcimento del danno sia per la violenza sessuale di gruppo, tentata, che per l’omicidio colposo (morte come conseguenza di altro reato). Quest’ultimo prescritto a causa di un’indagine che ha stentato parecchio a decollare a causa dell’archiviazione del procedimento in Spagna dove la fine della giovane studentessa genovese venne fatta passare per un suicidio.

Ancor più delicato l’aspetto della resipiscenza. Gli imputati si sono sempre dichiarati innocenti. E fin qui è consentito eventualmente mentire. Può non esserlo invece ledere l’onore della vittima. "E’ stato fatto – commenta l’avvocato di parte civile, Luca Fanfani – perché Martina è stata descritta come una folle". Vanneschi e Albertoni hanno sempre tentato di accreditare la tesi del suicidio. E lo stesso procuratore generale in Cassazione, chiedendo la conferma della condanna ha censurato l’immoralità di alcuni passaggi del ricorso. Scuse alla famiglia Rossi non ne sono mai arrivate, nemmeno per interposta persona.