Alberto Pierini
Cronaca

Carnevale, ballando ballando nell'era del virus: ma la festa in centro spezza la paura

Evento in sordina e numeri lontani dagli anni migliori: però gente fino a tardi a S.Agostino, fuori prima le famiglie e poi le coppie. Cronaca di una notte diversa

La festa di Carnevale a Sant'Agostino

Arezzo, 26 febbraio 2020 - 

Il loro sacco di coriandoli è mezzo pieno. Ballano a ridosso di mezzanotte in una piazza che in un anno normale sarebbe stata gremita. Si stringono come se fosse festa davvero, come se il magone del virus non esistesse, come se le cicatrici che lascerà fossero già sanate. Ma ballano e si stringono.

E intorno alla coppia gli ultimi scampoli di un Carnevale mutilato. Ad Arezzo balla su una piazza sola: Sant’Agostino.

E raccoglie quasi a valanga le varie generazioni. Di pomeriggio i bambini, sfoggiando i costumi che stavolta temevano di lasciare in naftalina. Per mano alle mamme, che tornano a rischiare, anche se «con giudizio». Nel tardo pomeriggio i più grandicelli, dopo cena il popolo della notte. I coriandoli lasciano il posto ai lenti, le stelle filanti ai cocktail.

Organizzano i commercianti della piazza, quindi in squadra ci sono tutte le categorie, come se il virus contribuisse a superare le bandiere. La verve è quella del Carnevale Aretino: il presidente Giuseppe Marconi, un po’ organizzatore e un po’ «Fiorello», sfoggia un cappello che avrebbe fatto la sua figura in Alice nel paese delle meraviglie.

Non è il paese delle meraviglie, e lui lo sa per primo. E’ un paese lacerato e ferito, indicato all’estero come pericoloso, diviso in Italia da chi, da una parte e dall’altra, prova a tirare la coperta del virus dalla sua parte.

Però crea una piccola isola nell’incubo. Intorno la Quaresima parte in anticipo, sul Corso fatichi a trovare una maschera lì dove fino ad un anno fa sfilavano come nei calli di  Venezia.

Dalle feste private arrivano notizie frastagliate ma che raccontano più di vuoti che di pieni, più di paura che di allegria. Il sacco dei coriandoli dappertutto è mezzo vuoto. Sant’Agostino si toglie la soddisfazione di spezzare il cerchio.

I numeri della festa impallidirebbero nel confronto con qualunque anno di grazia precedente. Però di gente ne arriva, di musica se ne sente, di sorrisi se ne sprecano.

Per una sera Arezzo prova a ritrovare il sorriso perduto. Lancia una manciata di coriandoli invece che decine e decine di bottiglie di acqua minerale in garage.  Le casacche della croce rossa colorano la notte aretina, intonate alle tinte del Carnevale più che a quelle della presunta tragedia.

Sanno tutti che davanti all’ospedale c’è una tenda dalla quale i malati passano prima di essere ammessi al pronto soccorso. Sanno che in Toscana ci sono stati i primi casi positivi. Sanno che il virus si infila tra le maglie delle nostre difese come i coriandoli tra la camicia e la canotta.

Però ballano e si stringono, senza dare l’impressione di farlo sul ponte del Titanic. Il «nemico» va combattuto e con serietà ci mancherebbe. Ma per una sera l’iniezione del Carnevale sembra portare più equilibrio che goliardia.

Perché prima di fasciarci la testa è forse meglio fasciarci dei panni di Arlecchino o di Brighella. Perché prima di rubare le mascherine, per buttarle in garage come l’acqua minerale o peggio ancora rivenderle, è perfino meglio mettersi una maschera. Perché l’espressione di circostanza, qualunque essa sia, è sempre peggio di una bella risata.

Il Carnevale non vince sotto la cappa del virus. E’ respinto con perdite. Ma almeno in piazza, in una piazza pareggia. Riporta per un giorno la gente fuori di casa, riapre qualche finestra, buca la notte dove tutte le vacche (e perfino l’a...muchina) sono nere, in una serata a colori.

Il braccio di ferro con il virus continua, il dolore e la paura di chi ne fosse colpito vanno sempre avanti a tutto. Ma almeno la città dà l’impressione di non arrendersi senza combattere. Di chi non confonde la serietà con la seriosità. Di chi non riempie il proprio carrello fino all’orlo contendendo al vicino l’ultima scatola di fagioli ma recupera il senso di un «carrello» comune.

Dove si possa ridere senza passare da superficiali, dove si possa far festa anche se dentro hai paura. Dove ci si possa stringere e ballare senza prendere l’amico, il fidanzato, il partner per un untore. Dove si possa, per una sera e solo per una sera, barattare la mascherina con una maschera: ma rimanendo se stessi.