REDAZIONE AREZZO

Bugie sul caso Martina, c’è la messa alla prova

Gli amici di Vanneschi e Albertoni in vacanza con loro hanno scritto una lettera ai genitori della studentessa morta per sfuggire allo stupro

Erano nell’hotel di Palma di Maiorca dove si consumò la tragedia di Martina Rossi, morta nel 2011 precipitando dal balcone per sfuggire a uno stupro di gruppo come ha stabilito la Cassazione, e - secondo l’accusa - mentirono o tacerono al pm per cercare di coprire gli amici Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni. Ma Federico Basetti e Enrico D’Antonio di 30 e 29 anni di Castiglion Fibocchi estingueranno il reato aiutando i più deboli.

Lavori socialmente utili: uno alla Croce rossa di Arezzo, l’altro in un ente benefico. Ieri mattina il giudice del tribunale di Genova ha accettato il programma - tecnicamente la ’map’ - e accordato agli imputati 130 giorni di lavoro (per 260 ore totali), ovvero 4 mesi e mezzo.

Basetti e D’Antonio si sono anche impegnati a risarcire il danno (2-3mila euro ciascuno) provocato ai familiari con una donazione alla neonata Fondazione a tutela delle donne vittima di violenza che porta il nome di Martina. Costituzione voluta dai genitori della ragazza, Bruno e Franca, che si sono battuti fin dall’inizio affinchè la verità attorno alla fine della figlia, appena ventenne, venisse accertata. Gli imputati hanno recapitato ai coniugi Rossi una lettera, a firma congiunta, nella quale si dicono dispiaciuti per quanto accaduto a Martina e condividono il dolore straziante di una madre e un padre. Scritto ’accettato’ dai coniugi. Tutti presupposti indispensabili per concedere la messa alla prova.

Il giudice ha dato termine fino a dicembre: il 12 è in programma l’udienza, per chiudere definitivamente uno dei capitoli difficili a corollario della storia straziante della studentessa. Sarà l’Ufficio delle esecuzioni a compiere una verifica presso gli enti per il programma svolto da Basetti e D’Antonio. "Soddisfatto" si è detto l’avvocato Alessandro Serafini che, insieme al collega Massimo Scaioli, assiste gli imputati.

Tante le bugie e i non ricordo che la procura attribuisce agli imputati mentre alcuni dei colloqui intercettati non sono mai stati ’spiegati’. In particolare Basetti – secondo l’accusa – avrebbe sostenuto di aver sentito la frase ’Martina si è buttata’, "pur a fronte dell’inverosimiglianza di tale versione" e non volle mai dire il perché di quella frase intercettata con Vanneschi, "non ho parlato per niente". Accusa analoga per D’Antonio la cui deposizione fu zeppa di ’non ricordo’: la procura ne ha contati 47 nello stesso verbale. Amnesia totale anche sui fattacci di quella notte: l’amico non ricordò la versione di Vanneschi e Albertoni e nemmeno il significato della frase intercettata quando disse di aver "svignato" le domande degli investigatori.

Resta intanto in sospeso, nel processo principale che ha portato alla condanna di Vanneschi e Albertoni a tre anni di reclusione per tentato stupro di gruppo, la richiesta di affidamento ai servizi sociali: sarà il tribunale di Sorveglianza a decidere ma a Firenze (come altrove) la pandemia ha dilatato i tempi di fissazione delle udienze e si viaggia a distanza anche di un anno. Sul fronte civile invece la famiglia di Martina, assistita dagli avvocati Luca Fanfani e Stefano Savi, ha scritto una lettera di messa in mora.

Erika Pontini