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Benvegnù, l’ultima canzone. Dolore per l’artista perduto: "Siamo rimasti senza fiato"

Lo strazio dei colleghi, il ricordo di Valenti a Capodanno, il concerto all’alba al Prato. Aveva vissuto qui, il luogo del cuore era Villa Severi, il tandem con Woodworm.

"La fine di ogni cosa sarà l’inizio di ogni cosa": i fans, anzi gli innamorati di Paolo Benvegnù risentono con le lacrime agli occhi le parole di una delle sue ultime canzoni. È "L’Oceano", giudicato come la seconda canzone più bella dell’anno, al centro del disco che ha sbaragliato, al sesto tentativo, il premio Tenco. Benvegnù si è spento a poche ore da Capodanno e in giro l’emozione va al di là di una popolarità sempre lontana da quella dei grandi divi. D’estate il suo concerto all’alba era stato il momento forte del Mengo. E quella performance i più se la porteranno dietro per anni, ultima testimonianza dell’artista. Un artista nato a Milano ma con le radici ben piantate ad Arezzo. Qui aveva vissuto, i più informati dicono a Tortaia, ma qui era sbocciata la sua musica. Una sola volta Arezzo lo aveva tradito, quando al Play Art parte del pubblico aveva invocato chiudesse il concerto per dare spazio agli artisti dopo di lui. E una sola volta, quella, aveva perso il suo aplomb: ma il resto della carriera è un crescendo che da qui si è incrociato spesso. Dal debutto ad Arezzo Wave a mille concerti, dalla collaborazione con la Woodworm a quella con l’Orchestra Multietnica. Non a caso, nelle ore che seguono la sua morte il dolore solca i volti di quei compagni di viaggio come dischi di vinile. Cantava a volte l’amarezza della vita, più spesso lo stupore, che, diceva, aveva riscoperto dopo la nascita della sua bambina. "Il nostro mondo ha nascosto il dolore, la finitezza, la morte alle esigenze dello spettacolo" sussurrava (non amava gridare) alla nostra Gloria Peruzzi, in una delle sue ultime, bellissime interviste.

La morte che, quasi unico, trattava nei suoi pezzi lo ha colto di sorpresa, a 59 anni, quando il meglio doveva ancora venire. Il suo "È inutile parlare d’amore" rimane un monumento, inciso poco prima della fine. "E allora mi troverai nei tramonti di aprile" cantava. "Ci mancherai, Paolo. Ma la tua voce, la tua poesia, il tuo spirito libero resteranno sempre con noi" lo ha ricordato a Capodanno Mauro Valenti. "Ci ha lasciato senza fiato" dicono gli artisti di Officine della Cultura, a cominciare da Luca "Roccia" Baldini. Insieme avevano prodotto "Piccoli fragilissimi film-Reloaded", la riproposta del disco che lo aveva lanciato vent’anni fa, lasciandosi alle spalle l’esperienza alla quale il mondo della musica lo inchioda troppo facilmente, gli Scisma. In realtà solo dopo avrebbe dato il meglio di sè, dando voce a quello che lui chiamava il silenzio che parla. "Che emozione le suscita l’alba? Bellissima. Suonando all’alba ad Arezzo, mi ricordo di tutte quelle che ho visto lì abitandoci" aveva raccontato a La Nazione. Indicando anche il suo luogo del cuore. "Villa Severi. "È lì che sono arrivato la prima volta quando con gli Scisma siamo stati selezionati da Arezzo Wave ’96. Ricordo l’arrivo in stazione e la camminata a piedi fino a Villa Severi".

Qualche chilometro buono ma anche il modo di radicarlo nella nostra città. Quanto lo scopriremo presto, se il suo "oceano" si allargherà ancora malgrado la morte. Magari in quei tramonti di aprile dove qualcuno lo cercherà, magari all’alba del Prato.

Lucia Bigozzi