
Saverio
Crestini
La leggenda narra che fosse alla ricerca di una ricetta di cucina locale. Ma la scoperta di Alfredo Bennati, fatta nel 1930 tra gli scaffali della biblioteca di Fraternita, era con tutta probabilità un segno del destino. La riesumazione della Giostra del Saracino prende slancio proprio dal ritrovamento del giornalista aretino, al tempo firma de La Nazione di Arezzo. Tra le mani di Bennati, infatti, cade un opuscolo con i “Capitoli per la Giostra di Buratto” pensati per il torneamento del 1677 organizzata dall’Accademia degli Oscuri in onore del Barone Siri, durante le celebrazioni di San Niccolò: quello che viene alla luce è un antico regolamento che di lì a poco avrebbe dato forma al gioco cavalleresco che oggi conosciamo.
Siamo negli anni del Fascismo e in tutto il Paese, in particolar modo in Toscana, è forte la spinta del Regime per riportare alla luce antiche tradizioni e feste popolari di cui, dal 1927, si farà garante l’Opera Nazionale Dopolavoro. Arezzo in questo percorso ha un grande vantaggio: la figura del podestà. Il conte senatore Pier Ludovico Occhini, nazionalista convinto e forte di una visione di città rivolta ai fasti del medioevo, sostenne l’imponente opera di restauro del centro storico commissionando all’architetto Giuseppe Castellucci e all’ingegner Umberto Tavanti la realizzazione di nuove antiche torri merlate da piazza Grande fino al Palazzo Pretorio, insieme al rifacimento di numerose facciate di palazzi storici.
Occhini non fu solo in questa grande opera di riscoperta: si circondò dei migliori intellettuali dell’epoca che lo aiutarono a ricostruire le origini e la storia dell’Arezzo trecentesca, divisa in quattro quartieri che prendevano il nome dagli accessi medievali della città: Porta Burgi, Porta Crucifera, Porta Sant’Andrea e Porta del Foro. È in questo periodo che nascono le tradizioni in terra d’Arezzo come il Palio alla lunga in onore di San Donato (1327), che veniva corso da cavalli scossi dalla località La Mossa fino alla Pieve di Santa Maria percorrendo le attuali via Romana, via Vittorio Veneto e Corso Italia, e i celebri “torneamenti” di cui parla Dante Alighieri nel XXII Canto dell’Inferno.
Sono proprio quest’ultimi gli antenati del nostro Saracino: addestramenti militari per l’allenamento fisico e militare che poi si trasformeranno in giostre tra cavalieri lancia in resta (chiamate ad tabulam ovvero all’incontro) volute dai Signori locali.
Nel Cinquecento i torneamenti vengono organizzati per celebrare le élite nobiliari (i Granduchi di Toscana su tutti) per poi diventare un gioco popolare e di spettacolo a partire dal Seicento: è nel pieno di questi due secoli che si assisterà alle giostre ad burattum, un bersaglio di forma umana che rappresenta il nemico dei cavalieri.
La scoperta di Bennati, collaboratore del Corriere della Sera e del Giornale d’Italia, nonché fervente amante della storia, arte e cultura di Arezzo, rappresenta il pezzo mancante di un puzzle pronto ad essere incorniciato: le regole di quel prezioso opuscolo diventano la base per la rinascita di un antico gioco cavalleresco, in linea con la secolare tradizione aretina, chiaramente documentata, che avrebbe avuto come protagonisti dei cavalieri pronti “a comparire al campo, armati di corazza e morione” per colpire lo scudo di Buratto, accompagnati da “uno o più patrini (capitani)” agli ordini del Maestro di Campo. Il giornalista, secondo le narrazioni, si sarebbe persino imbattuto in un gruppo di ragazzini nel quartiere di Pescaiola che giocavano con manici di scopa impugnati come lance, colpendo una figura disegnata con il carbone su un muro e che aveva le sembianze del Buratto.
Come se tutto fosse già scritto, il 7 agosto 1931 si corre la rinata Giostra da via di Seteria fino a piazza Grande, contesa dai cinque rioni di Porta Santo Spirito, Porta Burgi, Porta Crocifera, Porta Fori e Saione, ognuno rappresentato da due cavalieri giostranti. Vince Porta Burgi, il rione del centro: si porta a casa il primo e ultimo trofeo della sua storia prima della soppressione.
Una bandiera amaranto, come la squadra di calcio, ornata dal cavallo inalberato di Arezzo. Nel 1932 l’Opera Nazionale Dopolavoro rivede la scenografia, i costumi, i protagonisti (i quattro quartieri di oggi), il premio (la lancia d’oro) e consolida una festa che avrà cadenza regolare, due volte all’anno.
Bennati da quel momento diventa la memoria storica della Giostra grazie ai suoi articoli su La Nazione, le pubblicazioni speciali, le numerose fotografie e testimonianze. Non è un caso, dunque, che nel suo straordinario vissuto fosse anche segretario della Brigata Aretina Amici dei Monumenti, membro della Commissione per la toponomastica stradale del Comune di Arezzo e rappresentante del Comune in seno al Consorzio per la gestione della biblioteca cittadina e segretario generale dell’Accademia Petrarca fino alla sua morte, nel 1962.
Adesso il suo patrimonio archivistico si trova nella Biblioteca di Arezzo, dove sono custoditi 485 volumi, 344 miscellanee e 4 periodici divisi in filze che l’ente cittadino ha acquisito nel 1998. Ancor oggi la storia della Giostra è lì dove tutto è cominciato: tra gli scaffali pieni di libri e, sicuramente, qualche buona ricetta di cucina.