Attilio Brilli
Cronaca

Alla ricerca della cucina perduta I piatti di Pietro Aretino e Redi

Un libro appena uscito a Londra di Elizabeth Romer, omaggio al gusto locale nel quale si racconta di un ricettario ritrovato tra le pagine di un antico volume comprato in una libreria antiquaria cittadina

Attilio

Brilli

Nelle librerie di Londra fa mostra di sé un volume di Elizabeth Romer, "Beppina & the Kitchens of Arezzo", il cui sottotitolo "Vita e storia culinaria di un’antica città toscana" spiega il senso del titolo. In copertina c’è una litografia di Giannino Marchig, noto ad Arezzo per avere eseguito nel1932 una cartella di dieci litografie per gli Amici dei Monumenti, raffigurante la parte inferiore di Piazza Grande al tempo in cui, attorno alla fontana, si svolgeva il mercato settimanale di prodotti provenienti dal contado. Il libro costituisce un pregevole, inedito omaggio ad Arezzo perché presenta la città attraverso un medium singolare qual è la sua cucina, o per meglio dire gli attori, noti ed ignoti, che ne sono stati i protagonisti.

Esso s’apre con un ben collaudato stratagemma narrativo costituito dal così detto "manoscritto ritrovato". Elizabeth Romer narra infatti di avere acquistato anni fa, in una libreria antiquaria di Arezzo, una copia di "La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene" del padre della culinaria italiana Pellegrino Artusi. Grande è la sua sorpresa allorché, sfogliando il volume, scopre, fra l’indice e la copertina posteriore, un fascio di fogli scritti a mano in una calligrafia chiara ed elegante.

Si tratta di una serie di ricette che la proprietaria della copia dell’Artusi, di cui conosciamo solo il nome, Beppina, ha raccolto in città fra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Prendendo spunto dal manoscritto della misteriosa Beppina, l’autrice compie un viaggio attraverso vicende storiche della città che coprono un arco di quattrocento anni, viaggio che si svolge in compagnia di famosi personaggi amanti del mangiar bene.

Nasce così un concerto a più voci – verrebbe quasi da dire a più mestoli - una vera e propria polifonia in cui le ricette dell’anonima Beppina e quelle classiche dell’Artusi si confrontano e dialogano di volta in volta con le annotazioni sul cibo di Pietro Aretino, con quelle del medico di corte di Cosimo III e soprintendente della Spezieria granducale Francesco Redi e con quelle del cuoco del collegio aretino dei gesuiti di S. Ignazio, Francesco Gaudentio. Nelle lettere scritte da Venezia, l’Aretino – personaggio che la dottrina degli umori avrebbe definito più che sanguigno - tesse sperticati elogi delle salsicce e dei salumi della sua terra natale, "la cui bontà ho io impressa nel petto fin dalla fanciullezza".

Per parte sua , nel Bacco in Toscana, il Redi offre una gustosa mappa dei vini della sua terra, dal "vitigno che fiammeggia in Sansavino", a quello "vermigliuzzo, brillantuzzo", che si coltiva a Tregozzano, a quello "più frizzante" che germoglia "tra’ sassi di Ciggiano".

Il gesuita Gaudentio ostenta tutta la sua sapienza culinaria nel ricettario "Il panunto toscano", apparso nel 1705, il cui manoscritto è conservato nella Biblioteca comunale della nostra città. Non mancano poi gradite sorprese riguardanti arredi e corredi della tavola imbandita, i quali rinviano, ancora una volta, alla luminosa tradizione artistica e artigianale aretina. È il caso della "fontana di vino da tavola", pregiatissimo pezzo d’argenteria il cui disegno, per mano del pittore locale Teofilo Torri, si trova a Londra nel Sir John Sloane’s Museum. Il basamento della fontana è costituito da una vasca rotonda sormontata da un cilindro scolpito a sbalzo su cui poggiano dei puttini. Questi sorreggono una specie di coppa con coperchio a valva dalla quale zampilla il vino.

Il coperchio è sormontato a sua volta da un cavallo rampante che reca la scritta "Arezzo" attorno al collo e lo stemma mediceo di lato alla sella. Databile entro i primi lustri del Seicento, il disegno per la "fontana di vino da tavola" celebra un evento capitale per la città. Sino dalla istituzione del dominio fiorentino su Arezzo, nel 1384, alla città era stato imposto il giglio di Firenze come stemma comunale. Il disegno di Teofilo Torri attesta che alla città è stato finalmente riconosciuto il diritto di fregiarsi del vecchio, glorioso simbolo del cavallo rampante. Con ogni probabilità, la fontana era stata studiata per festeggiare con un lussuoso convito tale riconoscimento. Come si vede, vini e cucina sono testimoni preziosamente gustosi di eventi cruciali della storia cittadina. Gli stessi amarissimi eventi che contrassegnarono i tempi burrascosi dell’occupazione francese e dell’insorgenza del Viva Maria vennero raddolciti da un lascito napoleonico, il famoso gattò - dal francese gâteau - dolce ancora oggi di rito per feste pubbliche e private.

A lettura conclusa c’è da augurarsi che il volume di Elizabeth Romer possa essere tradotto in italiano e presentato alla città. Nel frattempo i tanti odori e i sapori immaginari che il libro sprigiona spingono a mettere in pratica qualcuna delle ricette della Beppina. Ma ecco che spunta fra le pagine del libro il monito dell’Aretino che veste per l’occasione i panni del dietologo moralista, "imperocché dei cibi delicati è cuoca la morte, e dei semplici la vita".