
di Salvatore Mannino
A dire quanto fosse un piccolo pezzo di storia minore basterà ricordare che fu lui a condurre la prima edizione nel 1974 del Tg di Teletruria, a sua volta una delle tv pioniere dell’etere ormai liberato dal monopolio Rai. Ricordano in famiglia che lui, Carlo Brandini Dini, morto lunedì sera in una camera del San Donato, abituato a dettare i pezzi ai dimafoni della Gazzetta dello Sport (quei registratori che poi sbobinavano gli articoli e li mandavano in pagina), abbia letto la prima notizia con tanto di punti e di virgole, come si fa appunto coi dimafonisti. Per dire di quanto fossero tempi di frontiera, anzi di assoluta novità.
Allora Brandini Dini era già un cronista affermato, almeno in campo sportivo, una delle voci che raccontavano le domeniche dell’Arezzo, al tempo rigorosamente alle 14,30, perchè le partite iniziavano e finivano tutte insieme, nel magico incastro di Tutto il Calcio minuto per minuto che qualche volta approdava anche qui, con il collegamento per la serie B, categoria al tempo frequentata dagli amaranto, E per tutta la vita, finchè non ha ceduto il testimone al figlio Stefano, Carlo, di mestiere assicuratore, si è fatto conoscere principalmente per i pezzi che in ogni domenica di partita casalinga inviava alla Rosea. Lui, Mario Giuliattini per Stadio e La Nazione, Mario D’Ascoli, il primo tenore dello sport aretino per il nostro giornale insieme al fraterno amico Giuseppe Aratoli, Giovanni Melani per il Corriere dello Sport.
A un certo momento, il calcio diventò anche un trampolino di lancio elettorale, perchè proprio i tifosi del Cavallino furono la base da cui spiccò il volo per il consiglio comunale, eletto nelle liste della Dc, primi anni ’90. Interventi, i suoi, che uscivano di molto dai canoni della politica paludata dell’epoca, per sconfinare in toni da populismo parasportivo che suscitavano l’entusiasmo dei suoi estimatori nell’aula di Palazzo Cavallo. Brandini Dini, però, non rinunciò alla passione per la Tv. Passato a Teleonda, la seconda emittente aretina nata per iniziativa di Narciso Terziani, che era anche il presidente dell’Arezzo, vi tenne una sorta di Processo ispirato a quello di Biscardi. Sempre con toni sapidi, come era nel suo carattere di aretino che amava le battute e sapeva raccontare le barzellette.
Abbandonata quasi del tutto la militanza giornalistica, non per questo Carlo rinunciò al calcio. Si cambiò di ruolo e diventò uno 007 federale per conto dell’ufficio inchieste, uno di quelli che vigilavano contro gli illeciti. La domenica era facile vederlo spuntare dagli schermi nazionali mentre usciva da qualche partita di cartello di cui aveva controllato la regolarità
Pallone ma non solo pallone. Insieme alla politica (coltivò anche alcuni progetti di liste civiche negli anni 2000), Brandini, radicato da sempre in piazza San Michele, dove aveva caso a fianco di Enrico Bondi, il supermanager tutto di un pezzo, amava di profonda passione anche la Giostra, della quale fu prima magistrato e poi addirittura Primo Magistrato all’epoca del sindaco Lucherini. Un’eccezione alla regola che vuole quell’incarico ricoperto da una toga di carriera.
Negli ultimi anni, fiaccato dai malanni che l’hanno tormentato a lungo, si vedeva in giro poco e niente, anche in quella parte di Corso a fianco di San Michele di cui era un specie di padrone di casa. Vigilava dall’alto e per chi passava era sempre pronta una notizia, un commento, una battuta. Un altro pezzo di Arezzo che se ne va, che la terra possa essergli leggera.