Addio al Papa innamorato della Verna Giani: "Quell’unica visita in Toscana"

Il lungo volo in elicottero, il maltempo, poi la resa. "Fu incantato da Arezzo" racconta l’ex capo della sicurezza. Ne parlò come la culla della cultura europea. "L’ho amato come un nonno, si sentiva protetto da me"

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di Alberto Pierini

AREZZO

La nonna di Papa Ratzinger riposa nel piccolo cimitero di Naz-Sciaves, in valle Isarco, alle porte di Bressanone. E quando Domenico Giani, il suo ex angelo custode, va in montagna spesso si ferma per una preghiera e un fiore. Tanto più lo farà la prossima estate, dopo la morte di Benedetto XVI. "Non era solo un Pontefice al centro del mio lavoro: era legato a me e alla mia famiglia, si informava per primo quando qualcuno stava male. Lo amo come un nonno". Un nonno che da qualche giorno non c’è più: un addio annunciato, le sue condizioni erano andate peggiorando a Natale. Ma anche un legame che non si era allentato dopo le dimissioni.

"Andavo a trovarlo ogni volta che potevo: ed ero riuscito a portare da lui tutta la comunità della Verna". Un modo per sanare una ferita di quel 13 maggio del 2012: il giorno della sua visita ad Arezzo, l’unica in Toscana. "Ci teneva molto ma la molla principale era stata quella di tornare alla Verna". C’era stato da cardinale, sognava di immergersi di nuovo nella spiritualità delle Stimmate, "aveva anche composto una preghiera speciale". Non l’avrebbe recitata: il maltempo era stato più forte.

Ore di incertezza, quell’elicottero a ronzare tra le nuvole, alla fine la resa. "Forse fu colpa mia: davanti al diluvio delle 13 avrei dovuto portarlo su in macchina, mi sono fidato del meteo che parlava di schiarita". Sarebbe arrivata solo il giorno dopo, troppo tardi. E quando Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze e in attesa a La Verna, aveva smesso di sfilarsi il cappotto ogni volta che si annunciava l’atterraggio.

Tra le tonache dei frati che volavano al vento come nei quadri di Norberto. Non recitò la sua preghiera e neanche il discorso che aveva preparato per il monte. "La continua meditazione della Croce, in questo luogo santo, è stata via di santificazione per tanti cristiani, che, in otto secoli, si sono qui inginocchiati a pregare, nel silenzio e nel raccoglimento".

Quello che lui fece quel giorno ma ad Arezzo., "Rimase incantato – racconta Domenico – all’ingresso in Cattedrale". Portato su una pedana mobile, i segni di una fragilità che nove mesi dopo lo avrebbero spinto alle dimissioni. "La Madonna del Conforto, l’organo antico, la cappella di Gregorio X, il nuovo altare realizzato da Vangi". Arezzo sarebbe rimasta l’unica visita di Benedetto in Toscana e una delle ultime in assoluto. E da lì lanciò l’appello che finì in tutti i giornali. "Rialzati Italia: invochiamo da Dio il conforto morale perché la comunità aretina e l’Italia evitino la tentazione dello scoraggiamento". Traendo forza dalle radici della fede ma anche della cultura.

"Questa terra dove nacquero grandi personalità del Rinascimento, da Petrarca a Vasari, ha avuto parte attiva nell’affermazione di quella concezione dell’uomo che ha inciso sulla storia dell’Europa". Lo scandisce dall’altare del Prato, dove il Vescovo Riccardo Fontana aveva fatto realizzare un disegno floreale con le sette note. "Lo commuoveva sapere di venire nella culla di Guido Monaco" ricorda Giani. Ma in questa visita c’era anche il suo zampino? "No, sarebbe venuto per La Verna, era stato grande amico di padre Umberto Betti: ma insieme ne abbiamo parlato tanto, in ogni pausa dei viaggi". Già alla sua elezione era andato a trovarlo. "Mi conosceva, sapevo di godere della sua fiducia". Per un anno rimase Cibin, mitico capo della sicurezza con Giovanni Paolo II, poi la scalata di Domenico. "Un uomo mite, timido, puro, dedicava molto tempo allo studio e alla lettura: ma poi fermo e di grande riservatezza". Domenico ne parla proprio da nipote. Ricambiato fino alla fine dei suoi giorni, "Mi ha voluto bene, si sentiva protetto. Sapeva che io avrei anteposto la sua vita alla mia". E anche per questo d’estate tornerà in quel piccolo cimitero di Naz-Sciaves, all’ombra delle montagne.