Farfalle, l'allenatrice Maccarani: "Mi dissero: devi perdere 5 chili o non ti convochiamo"

Nel suo libro la storica, medagliatissima (e oggi contestata) allenatrice dell’Accademia di Desio Emanuela Maccarani ripercorre i sacrifici dietro alle imprese della ritmica

Desio (Monza) - «La Tinto mi disse subito, senza troppi giri di parole: “In un mese devi perdere 5 chili, sennò non ti convoco più”. E io per un mese non ho sgarrato. Non toccavo cibo al di fuori dei pasti principali. A mezzogiorno mangiavo due yogurt e una mela, mentre alla sera una cena leggera. Mi concedevo un gelato il giovedì pomeriggio, una sorta di premio per tutti gli sforzi che stavo affrontando. E alla fine, in un mese, persi quei “maledetti” 5 chili, tant’è che mia mamma, quando venne a trovarmi durante il collegiale estivo a Sondrio non mi riconobbe".

Il racconto è di Emanuela Maccarani, la storica, pluridecorata, direttrice tecnica dell’Accademia delle Farfalle a Desio. Si trova nel libro “Questa squadra, la ginnastica ritmica, la mia vita” che ha scritto per Baldini & Castoldi, con una versione aggiornata a pochi anni fa. Nel volume la sua storia, da atleta e da allenatrice, che rappresenta un po’ il suo vangelo. Una pietra miliare è la svolta fatta dalla ginnastica verso la moderna concezione delle atlete.

 "Amalia Tinto diventò ufficialmente, nel 1984, la Responsabile della Squadra Italiana. Fu un anno piuttosto difficile per me. Innanzitutto ci fu un cambio generazionale. Tante mie compagne abbandonarono l’attività agonistica e io mi ritrovai a essere la più grande, la più esperta in un gruppo di giovani. Iniziò, poi, a diffondersi la moda che la squadra dovesse essere formata da atlete longilinee, esasperatamente magre. Pelle e ossa. Questo era il modello da seguire". Pelle e ossa. Senza troppi giri di parole. Senza compromessi. Quasi quarant’anni fa, ormai.

Un racconto quanto mai attuale. Maccarani potrebbe essere sentita in Procura a Brescia, dove è in corso l’inchiesta, al momento a carico di ignoti, sui presunti maltrattamenti verso ex ginnaste. Nessuno meglio di lei sa cosa è successo in questi anni dentro le mura del PalaDesio, prima, e dell’attigua Accademia, poi. Degli anni della dieta ferrea lei ricorda ancora: "La scuola italiana, fino ad allora, aveva prediletto il lavoro di coordinazione, relazione e interazione fra le ginnaste e la resistenza. La parola d’ordine era “cambiare registro”, così per me quello fu l’inverno più difficile. L’ultimo inverno, il più lungo, di tutta la mia carriera da atleta. Dunque mi rimboccai le maniche. Era inutile farsi sopraffare dagli eventi. Se volevo mantenere il mio posto in squadra c’era un’unica soluzione: adeguarsi".

Una lezione imparata a costo di sacrifici e metabolizzata da allenatrice: "Questo è sempre stato il mio modo di procedere – scrive -. È giusto privilegiare atlete belle e dotate fisicamente, ma il lavoro di squadra richiede anche – e soprattutto – capacità di adeguamento, di tenuta, di resistenza ai carichi di lavoro. Bisogna imparare a lavorare in modo costante e prolungato nel tempo, con un ritmo intenso, a volte incessante. Altrimenti si corre il rischio di perdere qualcuno per strada. È una sorta di selezione naturale".

Selezione naturale. Perché la fatica per arrivare e rimanere ai vertici, quotidiana, è immensa: "Per conquistare la vittoria è necessario essere vincitrici! - il suo mantra -. Non dobbiamo più rimanere giù dal podio a guardare! Il segreto del successo è lavorare sodo". E " il successo avrà persino un sapore diverso se sarete consapevoli del prezzo che dovrete pagare per ottenerlo". Un prezzo carissimo, a volte.