"Così a 9 anni sono diventata adulta, nel mio diario la fuga per il futuro"

Bruna Cases, 87 anni, e le pagine scritte di getto mentre scappava da Milano “Sulle ali della speranza“. Incubi, notti all’addiaccio, speranze affidate ai “contrabbandieri“: i suoi ricordi affidati ai ragazzi di oggi

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di Simona Ballatore

Era il 31 ottobre del 1943, un giovedì. "L’Italia era occupata a nord dai Tedeschi, a sud dagli Inglesi, ma gli ultimi procedevano adagio adagio. Intanto i tedeschi maltrattavano gli ebrei; appunto noi eravamo di questi". Aveva solo nove anni Bruna quando annotava le sue impressioni, di getto, sul suo diario, ma era già una bambina matura. "L’8 settembre, con l’armistizio, sono diventata adulta. Prima mi preoccupavo solo di giocare, studiare, leggere. Poi ho visto quello che stava succedendo, mi rendevo conto dei pericoli che stavo correndo", racconta oggi Bruna Cases, che di anni ne ha 87 ed è nonna di quattro nipoti, il più piccolo ha 23 anni. Sfoglia il suo diario diventato un romanzo, “Sulle ali della speranza“, fresco di stampa per Piemme - Il Battello a vapore. Lo ha scritto con la giornalista Federica Seneghini per parlare ai ragazzini che continua a incontrare nelle scuole insieme al marito, Giordano d’Urbino, anche lui sfuggito da bambino alle deportazioni nei campi di concentramento.

C’è il manoscritto, con la sua calligrafia curata, le annotazioni, le correzioni. Ci sono i suoi disegni, le emozioni prima di andare in Svizzera, l’angoscia per quei problemi che andavano crescendo di giorno in giorno: l’incubo di trovarsi davanti i tedeschi, "l’incoscienza di credere che trasferendoci dai nonni saremmo stati più al sicuro, perché chi avrebbe fatto del male a bambini e anziani? Non era così". Racconta il ritorno a Milano, che aveva lasciato dopo i bombardamenti, e la nuova fuga oltre il confine, pochi giorni dopo. "Pensavamo solo al futuro – rivive quei giorni Bruna – anche se, una volta in Svizzera, Milano ci è mancata tantissimo. Chiudere casa è stato traumatico, come lasciare le mie cose, la mia bambola preferita, la mia vita fin qui". Racconta minuziosamente il viaggio, senza perdere i dettagli. "Bisognava fare meno rumore possibile: eravamo vicini alla tanto desiderata frontiera", scrive Bruna-bambina, mostrando il confine, colorando la bandiera svizzera da una parte, il tricolore dall’altro: "A uno a uno, silenziosamente passammo attraverso il buco della rete. Che emozione! Finalmente eravamo in terra libera". Ci sono le paure, più grandi di lei. Ci sono i “contrabbandieri“ che per denaro accompagnavano al confine i profughi. C’è la donna di servizio che ha rischiato la sua vita per salvare una sua prozia di 90 anni. "E in fondo ha salvato anche la nostra, permettendoci di sentirci liberi di andarcene", racconta ancora. Ci sono le notti sui pagliericci senza lenzuola. Aveva tre fratelli, Bruna era la più piccolina, gli altri erano molto più grandi di lei. Non aveva mai tenuto un diario prima di allora. "Ma quando è arrivato il momento di scappare via, lasciando tutto, ho capito che stava avvenendo qualcosa al di fuori dell’ordinario, che andava registrato – spiega –. L’ho fatto per me stessa, per non dimenticarmi nulla: ho scritto su qualche fogliettino, poi un paio di mesi dopo, in un campo di raccolta in Svizzera, mi hanno dato un quaderno è ho unito questi appunti". Lo ha conservato con cura per tutti questi anni, il manoscritto è ancora nella sua casa di via Pisacane. "Quando siamo tornati, alla fine della guerra, era occupata da due famiglie – ricorda – una di fascisti, che siamo riusciti a mandare via col Comitato della Liberazione nazionale, l’altra di operai, una famiglia perbene con la quale abbiamo convissuto per due anni, con l’elettricità che mancava ad ogni momento, senza i riscaldamenti, con mio papà malato di tubercolosi: è stato un periodo economicamente difficile. Ma eravamo a casa".

Continua a incontrare le scuole Bruna, anche se la pandemia ha dirottato le visite online: "I ragazzi sono molto ricettivi, porto con me bellissimi riscontri, disegni, lettere. Credo serva. Lascio loro due messaggi: bisogna pensare agli altri, quello che è capitato a noi purtroppo viene rivissuto da tanta gente disperata, costretta a lasciare tutto, a passare le frontiere illegalmente. E poi ricordo loro di apprezzare sempre quello che hanno. Anche adesso quando vado a letto la notte, in una casa calda, col letto che ha un buon materasso, lenzuola, coperte e la pancia piena, ringrazio il cielo e penso a quante persone al mondo manca tutto questo".