Colle, Salvini vuole gestire la partita. Renzi e Toti sono l’ago della bilancia

Il leader leghista: incontro tutti dopo Natale. I centristi controllano 70 voti e il Pd teme Berlusconi candidato

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di Ettore Maria Colombo

Fuori uno. Sergio Mattarella si chiama fuori, per l’ennesima volta, dalla successione a se stesso. Prima va in "visita di congedo" (ma la formula di rito presto scompare dal comunicato ufficiale del Vaticano, il che dà subito adito ai soliti sospetti) dal Papa, con la famiglia, dalla figlia ai nipoti. Poi il Capo dello Stato parla al corpo diplomatico (gli ambasciatori) per i saluti di fine anno: "Oggi, per me, è anche l’occasione di un commiato", dice.

Dentro, però, un altro. Si chiama Mario Draghi, sta a palazzo Chigi e, soprattutto per la gioia dei peones e i leader di vari partiti, dovrebbe restarci. A imbullonare Draghi a palazzo Chigi ci si mette pure il riconoscimento del giornale finanziario inglese The Economist. L’Italia, per la popolare rivista britannica, è il "Paese dell’anno 2021". L’Economist sceglie l’Italia "per la sua politica" perché "con Mario Draghi l’Italia ha acquisito un premier competente e rispettato a livello internazionale". Immediate le reazioni di giubilo. Da Ronzulli e Bergamini (FI) a Bellanova e Rosato (Iv) a Calenda (Azione) sono in tanti a dire "avanti così, Draghi rimanga dov’è".

Il premier parlerà alla conferenza stampa di fine anno, anticipata al 22 dicembre, e dirà cosa pensa, ma quasi tutti i leader, da Salvini a Letta, passando per Conte (tutti tranne una, la Meloni), vorrebbero che Draghi restasse dov’è, a palazzo Chigi, perché temono che la maggioranza poi non regga, ma sanno anche che, per fermare la corsa di Berlusconi hanno solo una carta: Draghi.

"Io non voglio entrare nel totonomi – avverte il ministro degli Esteri Di Maio – ma il premier va protetto dai giochi politici". Lo stesso Di Maio che dice a Conte "va bene il dialogo con Letta, ma bisogna ascoltare tutti". Parole assai sagge.

Ed ecco che, appunto, in questo bailamme di voci, di ‘consultazioni’ di Salvini che sente tutti i leader, anche quelli minori, ma via WhatsApp poi assicura che "entro fine anno convocherò tutti i leader di partito a Roma", e di Giorgia Meloni cui tocca precisare la sua definizione di presidente ‘patriota: "Non è detto che debba venire per forza da destra". Spunta fuori il ‘terzo incomodo’, e cioè Silvio Berlusconi.

La linea già scelta è quella di obbligare i partiti del centrodestra a votare scheda bianca alle prime tre votazioni, quando il quorum è di due terzi (674 voti su 1.009 grandi elettori) e di iniziare a votare il suo nome dal quarto scrutinio in poi, quando basta la maggioranza assoluta (506 voti).

Il problema è che Berlusconi al Quirinale non lo vogliono mica così tanto neppure Salvini e Meloni, figurarsi Letta e Conte. Il primo dice che "serve un Presidente con un largo consenso" e il secondo ribadisce che "Berlusconi non avrà i voti del M5S. Dobbiamo mirare ad una figura di alto profilo morale". Già. Il problema è Matteo Renzi che punta a far nascere un gruppone neocentrista con Toti di almeno 70 parlamentari: sarà il vero ago della bilancia del futuro inquilino al Colle.