Morì nel Tevere, la rabbia della famiglia

La madre chiede la riesumazione e una nuova autopsia. "Interrogate Galioto": fu arrestato per l'omicidio di uno studente americano

Federico Carnicci

Federico Carnicci

San Miniato (Pisa), 5 dicembre 2016 - "Non ne posso più, andrò a Roma e metterò in piedi una manifestazione di protesta insieme a tutti gli amici di Federico: sono mesi che aspetto e il caso è rimasto dove l’archiviazione l’ha lasciato". Parole che Lidia Speri pronuncia con il cuore in gola e gli occhi lucidi. La donna, che vive a San Miniato, è la mamma di Federico Carnicci, (27 anni), operaio di Santa Croce, trovato cadavere il 17 luglio del 2015 nelle acque del Tevere a Roma dieci giorni dopo la denuncia di scomparsa presentata da chi condivideva con lui l’esperienza di vita di strada. Un caso che presentò subito stranezze e lati oscuri. Uno per tutti, quello che il fratello Giulio non si è mai stancato di ripetere: "Mentre cercavamo Giulio per tutta Roma, a poche ore dalla notizia della scomparsa, da persone vicine a chi era con lui quella notte si venne a sapere che lo davano già per morto nel Tevere. Come in realtà poi è stato".

Ma non solo. Ai familiari fu detto che Federico aveva bevuto, anche se dall’autopsia risulta un grado alcolico pari a tre birre, e che si sarebbe buttato nel Tevere e poi sarebbe stato da loro (gli amici del gruppo) recuperato, asciugato e messo nel sacco a pelo. Carnicci dormiva in una tenda sulla banchina del fiume, insieme ad un gruppo di punkabbestia di cui faceva parte Max Galioto, la sua compagna e appunto due uomini polacchi. Galiotto è l’uomo arrestato a luglio e scarcerato nei giorni scorsi dal Gip con l’accusa di aver ucciso – spingendolo nel Tevere – lo studente americano Solomon. Un caso che sembrò portare qualche chiarezza in più anche nel giallo di Federico anche per la dinamica.

"Chiederemo a questo punto che Galioto, che non ha mai reso testimonianza, venga sentito come persona informata sui fatti nel caso della morte di Federico Carnicci", dice l’avvocato Carmine De Pietro, penalista romano, che assiste Lidia Speri e che sul caso ha svolto investigazioni difensive molto circostanziate.

"In questi giorni incontrerò il pubblico ministero Scavo per cercare di capire a che punto siamo e quali possano essere le intenzioni della Procura, anche alla luce della scarcerazione di Galioto - conclude il legale -. Per noi quello di Carnicci resta un caso da riaprire".

La madre aggiunge: "Voglio la riesumazione del corpo di mio figlio e una nuova autopsia – conclude –. Sono certa che verrà fuori un altro copione rispetto a quello che ci hanno presentato in un anno e mezzo".