Abituati al cinque stelle, profughi in fuga dall'hotel di montagna

La nostra inchiesta esclusiva. Parla Roberto Niccolai, coordinatore della coop Gli Altri:«Accoglienza improvvisata. Fanno loro credere che siamo il Paese del Bengodi». E intanto a Marliana, la parrocchia 'supplisce' alle istituzioni

Profughi libici (Foto Castellani)

Profughi libici (Foto Castellani)

Pistoia, 25 agosto 2015 - Da un paradiso a cinque stelle in un hotel della Sicilia a un tranquillo albergo della montagna pistoiese. Erano arrivati da Trapani a Maresca, ma il soggiorno nella provincia di Pistoia si è rivelato una delusione per cinque profughi subsahariani. Abituati per un anno e 8 mesi alla piscina, a essere serviti a pranzo e a cena e a non dover pensare alle bollette o a rigovernare “casa”, poche settimane fa sono piombati in Questura: «Fateci tornare a Trapani a fare l’Acquagym». Questa la loro richiesta, dopo aver scoperto che a Maresca avrebbero dovuto attenersi alle regole della prima Accoglienza, in gran parte mutuate dal progetto dello Sprar,per i richiedenti asilo, e dire addio alla vita da nababbi. E così due di loro sono andati via, gli altri tre sono rimasti, ma a malincuore.

Una storia che Roberto Niccolai, il coordinatore dell’area intercultura della cooperativa «Gli Altri» (vincitrice con altre coop dei bandi per la gestione dei programmi di accoglienza e Sprar) racconta con l’amaro in bocca. Esempio perfetto delle falle nel sistema dell’accoglienza. «E’ gravissimo che quei ragazzi siano stati abituati a pensare che l’Italia sia il paese del Bengodi e possano vivere in una eterna vacanza». Perché questo equivoco? Niccolai lo spiega a chiare lettere: «Perché mancano norme serie e una gestione univoca dell’accoglienza. Nel caso dei profughi di Trapani ora a Maresca, ci troviamo di fronte a una prima accoglienza improvvisata. Quei ragazzi, ospiti di un albergatore che avrebbe dovuto provvedere alla loro sussistenza, lavoravano a nero cinque volte a settimana, un giorno per il loro ospite e un altro pascolando le pecore. Il resto della settimana lo trascorrevano senza fare nulla e senza neppure imparare l’italiano».

Una valanga di soldi pubblici affidati, troppo spesso, a persone improvvisate che, approfittando della carenza di alloggi, fanno affari sull’emergenza. «Quando quei ragazzi sono arrivati a Maresca – racconta Niccolai che con «Gli Altri» gestisce l’accoglienza nell’albergo di montagna – abbiamo spiegato loro che avrebbero dovuto seguire dei corsi d’italiano e professionalizzanti. Diritti, ma anche doveri. Questa è la regola. E’ chiaro che per loro è stato un trauma». A tutti i profughi gestiti da «Gli altri» (oggi sono 106) viene fatto firmare un contratto di accoglienza: «Le regole sono queste. Chi vuole stare nel progetto deve rispettarle, altrimenti va via», dice Niccolai e racconta il caso di un nigeriano scoperto a fare il parcheggiatore abusivo: «Lo abbiamo allontanato. Riusciva a mandare a casa sua, in Africa, 300 euro al mese. I progetti di accoglienza sono destinati a chi non ha un reddito. Chi bara viene allontanato».

L’obiettivo de «Gli Altri», che segue il modello Sprar, è rendere autonome queste persone in fuga da situazioni di disperazione e fornire loro gli strumenti per ricrearsi una vita. Attorno alla cooperativa ruotano molte figure di specialisti: mediatori linguistici, consulenti legali, insegnanti d’italiano, psichiatri e psicologi, tutti esperti in tema d’immigrazione. «Coinvolgiamo i profughi – spiega Niccolai – in corsi di economia domestica e igiene. Il passaggio dall’albergo di prima accoglienza alla casa dello Sprar è di solito traumatico per loro, perché non hanno il senso della realtà. Noi li abbiamo istruiti a fare la spesa con ticket da 20 euro a settimana.

E’ capitato che alcuni di loro, trasferiti da Piano Sinatico a Buggiano si siano lamentati del ‘poco’ cibo, in albergo, ma quando si son ritrovati a fare la spesa coi ticket, si sono resi conto del costo della vita e hanno capito come organizzarsi e fare economia». Niccolai e il suo staff educano i profughi a «capire come funziona in Italia», impiegando risorse ed energie, e restando ferrei sulle regole. Una fermezza che, tuttavia, non sempre è tenuta da altre cooperative o albergatori: «Non si può affidare la gestione di persone così delicate a gente improvvisata. Servono competenze e regole. Per una buona accoglienza non basta lavarsi le mani stanziando fondi. Altrimenti si crea solo allarme sociale e i profughi vengono percepiti come ‘concorrenti’ dagli italiani, quando invece, con i giusti progetti, possono diventare una risorsa. Il caso di un camerunense diventato necroforo o di subsahariani panettieri, è emblematico». Diritti e doveri, insomma.

LA DENUNCIA DI DON ALESSANDRO Corsi di italiano, colletta per le medicine, attività sportive. E’ l’offerta, a titolo puramente gratuito, che la comunità parrocchiale di Marliana, cinquanta persone, offre da mesi ai quarantacinque profughi ospitati in una struttura alberghiera. Sarebbero dovuti rimanere giusto il tempo di essere ascoltati dalla commissione territoriale di Firenze per ottenere una risposta alla loro richiesta di asilo e protezione. Trentacinque giorni, secondo i tempi di legge, e nel frattempo, una struttura alberghiera e una cooperativa, vincitrici del bando della prefettura, avrebbero dovuto prendersene cura, secondo il protocollo della prima accoglienza: vestiti, medicine, mediatori linguistici, vitto e alloggio. Ma è passato un anno e alcuni profughi sono sempre lì, perché le audizioni della Commissione vanno per le lunghe. E loro restano ospiti dell’albergo che con i fondi del Governo dovrebbe provvedere alle loro esigenze. 

Ma da diversi mesi è la comunità parrocchiale a prendersi cura di loro. Lo racconta don Alessandro Carmignani, il parroco di Marliana, che è riuscito a coinvolgere la sua parrocchia e a far superare la reticenza di molti di fronte a quella che, in una comunità di 50 persone, era stata all’inizio percepita come una invasione. «La struttura e la cooperativa dovrebbe farsi carico di tutti i sevizi, in base alla convenzione con prefettura – spiega il parroco, don Alessandro Carmignani –. Fino ad oggi, vestiti, scarpe, corsi d’italiano, visite dal medico... a tutto questo abbiamo provveduto noi della parrocchia, laddove chi aveva in carico questi servizi non ha risposto con adeguatezza. I parrocchiani – prosegue don Alessandro – si sono fatti carico di favorire l’integrazione di questi ragazzi. Hanno risposto alle necessità degli ultimi. Così come ha sempre fatto di fronte alle necessità di quegli itaiani bisognosi della nostra comunità. L’amministrazione ci ha dato in gestione la palestra comunale dove questi ragazzi possono andare e integrarsi con la popolazione locale; giovani e adulti della parrocchia hanno dato disponibilità gratuita per corsi d’italiano e nel passasto abbiamo anche raccolto denaro per permettere ai profughi di comprare medicine che la struttura alberghiera che li ospitava non acquistava, pur avendo obbligo». «Più volte ho sollecitato l’albergatrice, finché lei, dopo i miei rilievi, non ha chiuso ogni rapporto con me. C’è una responsabilità anche delle istituzioni, a partire dal governo, che non riescono a vigilare. Questi poveri diventano la ricchezza di alcuni italiani e di albergatori. Occorre un’organizzazione che non può essere improvvisata. E le risorse devono essere usate per dare aiuto concreto».

I FONDI PER I MIGRANTI Se per alcuni il sistema dell’accoglienza diventa un business su cui lucrare, per chi riesce ad amministrarli bene, i fondi stanziati dal Governo per fronteggiare l’emergenza umanitaria dei profughi, diventano una risorsa economica anche per il territorio. E’ il caso di Prunetta e di altre frazioni della provincia di Pistoia dove sono ospitati i profughi. Roberto Niccolai, della cooperativa «Gli Altri» spiega: «Compriamo i generi necessari nei negozi del territorio. I soldi che riceviamo per garantire assistenza ai migranti li usiamo per pagare le prestazioni professionali di mediatori, psicologi, consulenti legali e per comprare viveri e vestiti nelle aziende locali. la stessa vale per le agenzie immobiliari che ci mettono in contatto con i privati dai quali affittiamo le case dove andranno a vivere i migranti. Gli affitti li paghiamo noi con i fondi che riceviamo dallo Stato, 35 euro al giorno a persona. Ai profughi restano in mano solo 2,5 euro al giorno». 

CENTOCINQUANTA NUOVI ARRIVI E’ prevista nei prossimi mesi un’altra ondata di arrivi nella provincia di Pistoia. Per fronteggiare al meglio la situazione, nei giorni scorsi si è tenuta una riunione in Prefettura alla quale hanno partecipato enti e cooperative coinvolti nel bando di accoglienza. Il Prefetto ha chiesto a tutti i partecipanti di attivarsi nella ricerca di altri 150 posti nella provincia di Pistoia, oltre a quelli già messi a bando. La percentuale di profughi che la provincia di Pistoia può accogliere è pari al 7,5% del 4% della Regione Toscana.