"Mio figlio è come Charlie. Ma vive ed è felice"

Emanuele vive a Massarosa. Ed è un simbolo della forza della vita

Emanuele "Mele" Campostrini

Emanuele "Mele" Campostrini

Massarosa (Lucca), 2 luglio 2017 - Mele ha nove anni, gioca a scacchi, dipinge e detta la sua voglia di vivere attraverso un ‘Etran’ e un puntatore ottico. Anche lui sa che, dall’altra parte del mare, un bimbo con la sua stessa malattia genetica, la sindrome da deplezione del dna mitocondriale, è stato condannato a morte dai medici e dallo Stato inglese. Emanuele Campostrini, il piccolo “Mele” da Massarosa, in provincia di Lucca, è diventato per i genitori di Charlie Gard il simbolo della speranza e della vittoria sulla morte. Mamma Chiara Paolini, maestra a Massarosa, e papà Massimo, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Pisa, sono in questo momento, alcune delle persone più vicine alla famiglia inglese, che non si vuole arrendere di fronte al verdetto della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Da quando la vita di Charlie è passata dalle mani della natura a quella dei giudici supremi e la sua storia ha commosso il mondo, Chiara è intervenuta con un video appello ai medici e alla Corte intriso di amore e di umanità, nel nome della vita di suo figlio e di altri bambini con la stessa malattia. Ignorata dai giudici, i Gard l’hanno subito cercata per ringraziarla e, da allora, non è passato un giorno senza un messaggio di affetto e di vicinanza. «Spesso parlo con la zia di Charlie, la sorella del papà – raccontava ieri Chiara Paolini -. Mi dice che i suoi genitori sono sempre con il bimbo, possono stare nello stesso letto, coccolarlo, gli stanno accanto, è molto bello e molto brutto assieme, perché sanno che è stata decretata la sua morte». Mele soffre, sin dalla nascita, della stessa sindrome di Charlie, ma per il momento non esistono cure.

C’è la possibilità di una sperimentazione terapeutica negli Stati Uniti e che i Gard, grazie a una colletta di un milione e mezzo di sterline, potrebbero pagare. "La differenza fra Mele e Charlie è solo nel tipo di gene malato, che causa però la stessa malattia, e nelle leggi dello Stato in cui vivono. La legge sul fine vita che vige in Inghilterra è stata riconosciuta suprema, dai giudici europei, rispetto al diritto alla vita di Charlie. In Italia, invece, la legge vieta l’interruzione delle cure nei bambini senza il permesso dei genitori. Questo diritto diventerebbe, anche da noi, molto più incerto se passasse la legge sulle DAT in discussione al Senato. Penso che dobbiamo combattere perché quella legge non passi, per non metterci tutti nei guai». «Uccidere qualcuno non è mai un atto di compassione – rincara la mamma di Mele –. Lo Stato deve tutelare i diritti dei disabili. La storia di Charlie, per alcuni versi, ricorda tanto le esecuzioni “compassionevoli” naziste".

Mamma Chiara racconta la storia di Mele: "E’ il secondo di tre figli. E’ nato nel 2008; a due mesi iniziarono le crisi epilettiche. Encefalopatia epilettica causata da una malattia mitocondriale e dalla deplezione, cioé la riduzione, del dna mitocondriale fu la diagnosi definitiva. I medici dissero che sarebbe vissuto al massimo un anno e ci consigliarono di accompagnarlo alla morte, evitando accanimento terapeutico". In sostanza, sarebbe bastato che i genitori non intervenissero durante una delle frequenti crisi del bimbo.

"Per un certo tempo – racconta Chiara – ci lasciammo convincere che fosse la strada migliore. Ma una notte, Mele ebbe un attacco e io lo ventilai per diverse ore. Ero divisa a metà. Non volevo che soffrisse ma nemmeno lasciarlo andare. Capii, però, che mentre lo aiutavo a respirare lo stavo, in realtà, accompagnando alla vita; così decidemmo di andare avanti. Non c’è nulla di più bello dell’essere genitori. La malattia è solo un aspetto secondario». Mele va a scuola ed è un lupetto dei boy scout. E’ sordo e non parla, ma respira da solo e comunica il suo mondo interiore attraverso un etran e un puntatore ottico. «Ha una vita normale – racconta la mamma -, ha un grande talento per la pittura. Della sua malattia ci ricordiamo soltanto quando c’è da fare i conti con la burocrazia. Fa le stesse cose degli altri, ma in un modo diverso, se deve mangiare ad esempio lo fa con un sondino, per andare a scuola, deve usare un’ambulanza e con lui c’è un’infermiera. Per il resto, è un bimbo felice, amato e pieno di speranza".