"Corro più forte della meningite": dall'ospedale al tetto d'Europa

Andrea Lanfri dopo la malattia è diventato un velocista da record

Andrea Lanfri, il primo da destra

Andrea Lanfri, il primo da destra

Lucca, 21 giugno 2016 - "Reggeranno?". Il nemico da battere, una manciata di secondi prima che lo starter tirasse il grilletto era uno solo: il terrore che quel paio di protesi nuove di zecca, infilate solo 30 giorni prima della gara, lo tradissero mandando in frantumi un sogno covato per mesi. «Perché - spiega - si tratta di un equilibrio precario. Usare le protesi da corsa è come guidare in Formula Uno: è vietato andare piano e se non stai attento, il corpo si sbilancia e finisci fuori strada». Poi dopo lo sparo, sono arrivati 25’’ e 05 di adrenalina purissima corsi a testa bassa nel catino dello Zecchini di Grosseto, dove sei giorni fa sono terminati gli Europei paralimpici di atletica. Lo stesso tempo che lo ha incoronato detentore del record nella finale dei 200 metri per «biamputati», facendogli incassare il settimo posto (da azzurro) in Europa. Lui, Andrea Lanfri, 29enne di Pieve di Compito che fino al 21 gennaio 2015, le gambe, strappate da una meningite fulminante insieme a 7 dita delle mani, le aveva di carne e ossa, pensa già al prossimo traguardo.

«I 400 metri delle gare paralimpiche assolute di Rieti - aggiunge - quelle dove il tempo da battere per far guadagnare 800 punti al mio club è di 1 minuto e 20 ma in allenamento sonogiù riuscito a totalizzare 1 minuto e 4 decimi». Tre in meno del record nazionale. Un traguardo da tagliare tutto d’un fiato per correre più veloce della morte con la quale in quel gennaio del 2015, ha avuto un faccia a faccia. E per farle un dispetto. A costo di battere ogni record, pur avendo ancora tatuato sul corpo (e nell’anima) quella sera d’inverno quando, dopo aver cenato a base di sushi con un’amica , a casa sua, andò a letto. «Febbricitante ma non così ammalato - racconta - pensavo a un’influenza». Poi la febbre che schizza in alto e la tachipirina che non fa effetto. E il buio. Quello del coma che lo ha crocifisso a letto per due mesi, durante i quali i medici hanno lottato contro le necrosi, senza riuscire a salvare dalla meningite fulminante gli arti inferiori del ragazzo.

«Da quel giorno clinicamente – racconta – sono stato incosciente ma nella mia testa ero sveglio e ho vissuto». Un «viaggio» interiore, percorso dal 29enne, mentre fuori la malattia cercava di mangiarselo. «E’ stato un sogno lunghissimo - spiega - durante il quale mi trovavo in ospedale, ma anche in montagna, dopo aver scalato insieme al mio cane. Ho sognato anche il mio funerale». Ricordi nitidissimi ancora stampati nella mente di Andrea a quasi un anno dal suo risveglio. Che il giovane sta mettendo nero su bianco, per il canovaccio di un libro dove raccontare la sua lotta personale a colpi di vittorie. FINO al risveglio in ospedale dove il ragazzo è tornato alla realtà. Ma invece dell’incubo, grazie a una forza di volontà incrollabile è iniziato il sogno. «Appena perse le gambe mi sono detto: ‘Voglio fare tutto quello che facevo prima’. Il primo passo è stata una raccolta fondi per acquistare le protesi che in tutto, fra cuffia, piede, e giunture possono costare 14mila euro».

E già al debutto le sue doti nascoste da velocista erano cristalline con quell’8” 72 sui 60metri indoor, a pochi decimi dal record italiano di categoria. Ma il lieto fine è ancora lontano: «con sei ore di allenamento al giorno - continua - le cuffie delle protesi si consumano in 4 mesi, e solo una può costare mille euro». Spese esorbitanti che zavorrano il suo sogno, a cui si aggiungono le protesi da bagno che l’Asl copre solo per il 35% della spesa. «Sono in cerca di uno sponsor che possa starmi vicino - conclude Andrea - e intraprendere con me questo cammino». Che, a settembre, lo porterà a vestire la maglia azzurra alle paralimpiadi di Rio. Dove, con le sue protesi, tenterà di battere il record con la R maiuscola: schizzare di corsa sul tetto del mondo.