Alle porte della primavera si aprirà il sesto atto del processo per la strage di Viareggio, per cui cinque gradi di giudizio hanno stabilito le responsabilità, civili e penali, dei tredici imputati, condannati per disastro ferroviario, ma non sono bastati per chiudere la vicenda giudiziaria. Cominciata la notte del 29 giugno 2009, con l’indagine aperta dalla Procura di Lucca quando un treno merci carico di Gpl deragliò ed esplose alle porte della stazione provocando la morte di 32 persone, ferendone oltre cento, e devastando la via Ponchielli.
È stata infatti fissata per il 18 marzo la prima udienza dell’Appello Ter, a cui la Corte di Cassazione Bis, rinvenendo un difetto di motivazione nella seconda sentenza di Appello, ha rinviato nel merito chiedendo ai giudici di Firenze di motivare o rivalutare la quantificazione delle attenuanti generiche che erano state concesse nella misura minima di un nono, in una scala che può arrivare ad un terzo. Sarà dunque un procedimento “in punta di pena“ quello presieduto dal giudice Alessandro Nencini; a cui i familiari delle vittime, con l’associazione “Il mondo che vorrei“ presieduta da Daniela Rombi che in quella notte d’inferno perse la figlia Emanuela, saranno presenti; come sempre nelle oltre duecento udienze che hanno scandito gli ultimi 15 anni trascorsi aspettando "Verità e giustizia".
"Saremo in aula – spiega l’avvocato Gabriele Dalle Luche, che rappresenta “Il mondo che vorrei“ – anche se tecnicamente per le parti civili il procedimento si è concluso con la sentenza della Cassazione Bis, che ha accertato le responsabilità degli imputati". Condannando tutti gli amministratori delegati che all’epoca dei fatti guidavano le Ferrovie e le sue imprese, a partire dell’amministratore delegato Mauro Moretti, a capo della holding, l’ex ad di Rfi Michele Mario Elia, e di Trenitalia Vincenzo Soprano (l’unico per cui la sentenza è già passata in giudicato e per il quale si sono aperte le porte del carcere) e anche delle aziende tedesche che avrebbero dovuto garantire la corretta manutenzione del carro merci carico di Gpl noleggiato a Trenitalia e collassato a causa di una cricca.
Nelle motivazioni depositate lo scorso 29 luglio, i giudici della Cassazione rimproverano agli amministratori delle Ferrovie "di aver condotto una politica aziendale finalizzata a non attivare sui carri noleggiati all’estero, la medesima procedura di verifica della manutenzione in vigore per i carri nazionali". Negligenza che, secondo la Corte, "ha una sicura autonomia causale sull’evento di disastro ferroviario". E dunque "Una corretta tracciatura dei carri e verifica delle procedure di manutenzione avrebbe fatto emergere la loro inidoneità alla circolazione sul territorio nazionale".
L’unico ricorso delle difese accolto dalla Suprema Corte, che ha rimandato il processo ad un Appello Ter, è stato sulle attenuanti generiche concesse in un nono. Secondo i giudici "È corretto valorizzare l’effettuato risarcimento" da parte degli imputati, che attraverso le assicurazioni hanno indennizzato "i 534 soggetti danneggiati (che hanno accettato i risarcimenti uscendo dal processo). Per questo i giudici hanno manifestato "l’illogicità della motivazione nella parte in cui" la Corte d’Appello "fa riferimento alla mancanza di resipiscenza quale elemento negativo di valutazione". Per gli Ermellini "non è possibile ancorare una cosi contenuta diminuzione di pena... ad atteggiamenti difensivi che risultano esplicazione del legittimo diritto di difesa".
Quando la Corte fiorentina avrà emesso la sentenza, gli imputati potranno di nuovo ricorrere in Cassazione: "Ma un eventuale ricorso – conclude l’avvocato Dalle Luche – potrà vertere solo sul ricalcolo delle attenuanti generiche".