Piano Cave: Tar boccia il ricorso delle ditte

Il giudice non ha accolto le argomentazioni degli industriali che contestavano la resa del 30 per cento stabilita dalla Regione

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La resa del 30 per cento per le cave apuane "appare ragionevole". Sono bastate queste due parole al Tar di Firenze per respingere il ricorso presentato da 29 aziende – distribuite tra Seravezza, Stazzema e la parte di Massa Carrara – che chiedevano l’annullamento del piano regionale cave e, in particolare, la previsione in esso contenuta con la quale viene fissata in poco meno di un terzo dell’escavato la quantità di marmo da destinare esclusivamente alla trasformazione in blocchi, lastre ed affini per ottenere una nuova autorizzazione. Si tratta di un nodo rispetto al quale le imprese del lapideo hanno, fin dalla sua introduzione, dimostrato forti mal di pancia decidendo di passare alle vie legali. Le realtà versiliesi che hanno fatto ricorso sono Cooperativa fra i Condomini Lavoratori dei Beni Sociali di Levigliani a r.l. e Trambisera Marmi S.r.l.

Diversi gli aspetti contestati in questa soglia, ritenuta da molti troppo penalizzante per le aziende apuane che subirebbero, tra l’altro, un diverso trattamento rispetto a quelle del resto della Regione. "I quantitativi minimi di resa per la coltivazione del marmo nella misura del 30 per cento del volume commercializzabile è previsto solo per il distretto apuoversiliese – spiegano i legali delle aziende –, mentre nella restante parte della Toscana tale misura è fissata nel 25% ed è salva la possibilità per i Comuni di stabilire anche percentuali tra il 20 e il 25%. La differenza dei limiti minimi tra il comparto apuano e il resto della Toscana concretizzerebbe inoltre una discriminazione priva di fondamento geologico e tecnico".

A questo si aggiunga che, sempre secondo le imprese che hanno fatto ricorso: "le analisi del quadro conoscitivo del piano sconfesserebbero l’obiettivo della resa minima al 30% per il distretto apuoversiliese, dove la storia dell’escavazione sarebbe caratterizzata da una resa inferiore a questa soglia". Obiezioni che non hanno convinto i giudici fiorentini arrivati a decidere di respingere in toto il ricorso.

"La resa minima – sottolineano anzitutto i giudici del tribunale amministrativo – è rappresentata dal solo materiale commercializzabile con esclusione dei materiali destinati ad altri fini e, in particolare, al miglioramento della sicurezza delle condizioni di lavoro nelle cave e dei materiali qualificabili come rifiuti di estrazione. L’interesse connesso allo sfruttamento economico del materiale lapideo e la tutela del territorio e del paesaggio sono interessi tra loro contrapposti e il punto di equilibrio individuato appare ragionevole".