DANIELE MANNOCCHI
Cronaca

Maicol Marsili: "Ore zitto a guardare. Poi ho iniziato a portare i caffé"

L’elettricista collabora da anni con Roberto Vannucci "Quando ho messo piede per la prima volta dentro un carro, per me è stato come vivere un sogno. Quello che avevo da bambino".

Maicol Marsili: "Ore zitto a guardare. Poi ho iniziato a portare i caffé"

Maicol Marsili: "Ore zitto a guardare. Poi ho iniziato a portare i caffé"

Il carro finito che ammalia e fa strabuzzare gli occhi nasce da lontano, da un flash nella testa di un artista. C’è chi riflette e congegna e chi, al contrario, si fa rapire dalla musa ispiratrice. E alla fine, tutti partoriscono un bozzetto. La gestazione è breve, pochi mesi: e da quel disegno su un foglio di carta, vien fuori il gigante di cartapesta. Nel mezzo, tante mani sapienti: quelle acclamate dei maestri, che carezzando la creta modellano le maschere, e quelle che operano sotto traccia, ma senza le quali non ci sarebbe lo spettacolo. Uno dei lavoratori più longevi della cittadella è Maicol Marsili, elettricista, che da anni collabora con diversi carristi di prima categoria, su tutti Roberto Vannucci.

Marsili, su quanti carri ha lavorato e quali?

"Lavoro con Roberto dal 2007. Ho lavorato con Carlo Lombardi e ho fatto diversi ’piaceri’ ad altri carristi".

Per lei cos’è il Carnevale?

"È il momento che si aspetta tutto l’anno. Un momento di felicità, in cui i problemi sono più leggeri e si cerca di stare più tranquilli, di divertirsi, di far pesare meno le cose importanti che ci circondano".

Qual è il suo primo ricordo legato a questo mondo?

"Il modo in cui ho conosciuto Roberto. Nel 2007, uscito da lavoro, venivo in Cittadella in motorino. E l’unico hangar aperto era quello di Roberto. Mi mettevo davanti, zitto, e guardavo, perché mi ha sempre entusiasmato la costruzione dei carri, il modo in cui vengono realizzati. Io mi mettevo lì e osservavo, anche due ore di fila, senza dire nulla. Finché, un giorno, gli ho chiesto se volesse un caffè. Per me lui è un ’orso’, in senso buono, però mi buttai. E da quel giorno, finché non hanno finito il carro, io tutti i giorni gli portavo il caffè, stavo lì e guardavo. E alla fine mi fece entrare a lavorare con lui. Io ero all’oscuro di qualsiasi cosa ci potesse essere nella costruzione di un carro. Ma quando ho messo piede per la prima volta dentro un carro, per me è stato come vivere un sogno. Anzi, è stato un sogno che si realizzava e che avevo fin da bimbo, perché davanti a me, quando ero piccolo, abitava Gabriele Galli".

Da bambino come viveva il Carnevale?

"Mi piaceva, mi mascheravo. Ma il Carnevale, per me, è montare su un carro, partecipare alla sfilata e quindi alla realizzazione del Carnevale. E per me, la prima volta è ancora quel 2007".

La passione come nasce?

"L’ho sempre avuta. Con Gabriele (Galli; ndr) andavamo nei capannoni vecchi a guardare, e per me era una meraviglia".

Il primo carro che ricorda e che l’ha colpita?

"“Carnevale nel cassetto“, del 1989, di Arnaldo Galli".

Se dovesse ’presentare’ il Carnevale a qualcuno che non l’ha mai visto, quali maestri indicherebbe?

"Luca Bertozzi, che secondo me modella in maniera fantastica, e i Lebigre, perché sono artisti, sono il Carnevale. Hanno questo modo di lavorare che trasuda arte".

Spesso si dice che i carri vengono finiti al fotofinish...

"Eh, una volta mi è capitato di trovarmi alle 5 e mezzo del mattino in cima al traliccio a colorare le ringhiere d’oro. Considera che alle 9 e mezzo si doveva uscire per il corso. E anni dopo è sempre successo di trovarsi all’alba a dare il lucido prima di portar fuori il carro. Una volta non era così. Si finiva prima e si chiudeva il lavoro facendo festa, con delle grigliate tutti insieme."

Canzone preferita?

"“Ovunque andrai“. Le folate del Libeccio / sono i baci di Viareggio. Bella eh...".