
Sos dall’Ocse: il 17% prova ansia o nervosismo lontano dagli schermi. La psicologa Fistesmaire: "Urgente un piano educativo nelle scuole".
"Il cellulare non è un compagno; è un dissuasore di relazioni". A mettere in guardia sui pericoli dell’uso smodato dello smartphone è Maria Antonietta Gulino, presidente nazionale e toscana dell’Ordine degli psicologi.
L’ennesimo allarme su un tema sempre più pressante, specie per le giovani generazioni, viene lanciato a seguito dei dati Ocse che evidenziano il fenomeno tra il mondo digitale e l’infanzia: il 17 per cento dei bambini prova ansia o nervosismo quando è separato dagli schermi; non si tratta solo del tempo trascorso online, è purtroppo il significato psicologico che i dispositivi stanno assumendo nella vita dei più piccoli. Non ci sono zone franche e la risposta, secondo gli esperti, è che il vero parental control si applica educando.
A mettere in guardia sui pericoli di un eccessivo attaccamento al cellulare è la dottoressa Patrizia Fistesmaire, direttrice dell’Uoc Psicologia dell’Asl Nord Ovest, anche alla luce dell’impegno che viene fornito, attraverso le strutture a disposizione della cittadinanza, a cominciare dal consultorio. "A questa struttura si rivolgono futuri genitori e genitori già “navigati” – dichiara la professionista –; è significativo introdurre la tematica che farà parte della vita dei bambini e delle bambine e inciderà nel loro sviluppo psicofisico perché l’educazione digitale inizia dai corsi di accompagnamento alla nascita".
Secondo Fistesmaire, "oggi l’educazione digitale è indispensabile: siamo la generazione adulta che non è nativa digitale e non ci sono ancora regole definite, perché il mondo degli adulti di oggi è preistorico ma nel futuro questo non accadrà; da anni mi occupo anche di formazione per insegnanti e genitori: già a partire dall’asilo nido l’argomento dell’educazione e del supporto digitale si affronta. E cosa può fare un adulto per mitigare la dipendenza digitale? Essere a sua volta indipendente".
La discontinuità rispetto al passato è travolgente. "Fin dai primi momenti di vita, talvolta già nel grembo materno, i bambini sono fotografati, esposti, postati sui social degli stessi adulti : spiega ancora Fistesmaire –: dispositivi elettronici al posto di mestoli di legno e acquarelli, accesso ai dispositivi dei genitori, dei nonni, fin dai primi anni di vita. Video a tavola, durante la cena, adulti incollati ai cellulari, che si attivano immediatamente a una notifica".
Su questo tema hanno lavorato approfonditamente due psicologi, Matteo Lancini e Alberto Pellai. "Secondo il loro pensiero, l’infanzia digitale richiede una nuova consapevolezza educativa – sottolinea la direttrice dell’Asl –; il digitale non è neutro, è un linguaggio, una cultura, una modalità relazionale; il compito dell’adulto, genitore o insegnante, è quello di fungere da filtro emotivo, cognitivo e sociale. I bambini non imparano a gestire gli strumenti tecnologici da soli: modellano i loro comportamenti su quelli degli adulti significativi. Lancini parla di ’adulti smarriti’, incapaci di fornire cornici di senso. Pellai, poi, sottolinea che ’la funzione protettiva dell’adulto è il primo fattore di prevenzione del disagio’. Il genitore non è solo controllore ma contenitore di emozioni, limiti, significati. Il vero parental control non è un software, è la relazione educativa".
Ma la famiglia e la scuola? "La prima non può essere lasciata sola e la seconda ha una responsabilità cruciale – conclude Fistesmaire –; è urgente un piano educativo scolastico che formi docenti a riconoscere i segnali di disagio digitale".
Maurizio Guccione