L’altra faccia della Pineta. Con le belle giornate rispuntano i pusher. E offrono ogni sostanza

Una domenica immersi tra sguardi loschi in cerca di un acquirente e un lunedì mattina di passeggiate tra accendini e siringhe usate .

È domenica pomeriggio. Primi soli, primi caldi, prime invasioni di turisti mordi e fuggi dall’entroterra. Tanti, tantissimi. E così, capita che qualcuno – che magari tollera il caldo o il pigia pigia fino a un certo punto - decida di cercare riparo al fresco della pineta di ponente. Va a finire che pure il polmone verde del centro di riempie di gente e di passeggini, mentre nell’aria risuonano le grida dei bambini e le ’c’ aspirate dei genitori. Insomma, non è proprio un giorno come gli altri, in cui il riparo degli alberi garantisce (anche) una certa dose di privacy. Eppure, totalmente incuranti dell’assembramento, diversi ragazzi di età variabile – ma invariabilmente in sella a vecchie bici a un po’ agée – bighellonano tra la folla, studiandola con lo sguardo.

Basta fare due passi sotto i pini per rendersene conto. Una passeggiata lenta – a sei zampe –, a cervello spento, in cui lo sguardo può spaziare in giro. Entrando in pineta dalla via Fratti, all’altezza del Tabarracci, si prende a destra, verso nord. E già al teatro Estate, s’incrocia un primo figuro che arriva dalla direzione opposta. Passa oltre, poi torna indietro, e nell’affiancarsi rallenta. Lo scambio non è verbale ma di sguardi, e dev’essere abbastanza significativo, perché il ragazzo in bicicletta fa di nuovo dietrofront e si allontana. E uno.

Neanche duecento metri dopo – ben prima dell’incrocio con via Marco Polo – la scena si ripete quasi analoga. L’uomo in bici supera una famiglia senza degnarla di uno sguardo – evidentemente non è il suo target – per poi rallentare. La dinamica è esattamente la stessa: un primo passaggio a vuoto, poi il dietrofront e la ricerca di un segno (ancora una volta non verbale) che possa indicare una convergenza d’intenti. Ma niente da fare.

Attraversate le strisce in via Marco Polo, si entra in una fetta di pineta meno trafficata. C’è un sentierino che taglia i viottoli in diagonale, dando un po’ di movimento al reticolato regolare. Altro tipo in bici. Passa e tira dritto. Ma stavolta, evidentemente, gli sembra di cogliere un segnale. Niente di che, in realtà: il nostro compagno – i due terzi delle zampe in dotazione alla coppia – ha ficcato il naso in una siepe. E non essendoci fretta, lo stimolo è stato assecondato. L’uomo in bici, evidentemente, ha visto solo un tizio che, al suo passaggio, si è fermato ad aspettare. Dunque gioca di rimessa: si ferma, scende dalla bici e si siede su una panchina, a una decina di metri, cercando lo sguardo. Non c’è due senza tre, e in neanche tre quarti d’ora: ma a differenza degli altri, che hanno capito subito, questo resterà deluso.

C’è tempo pure per un quarto ragazzo, sulla via del ritorno. È più discreto, non cerca di incrociare il cammino ma si tiene lontano, quasi disegnando dei cerchi. Sembra che si siano dati appuntamento per ritrovarsi tutti in pineta. A testa alta, in pieno giorno, spavaldi in mezzo alle famiglie di turisti. Business is business.

A segnare le prime ore del mattino successivo è il cinguettio degli uccellini. Lo sbuffare del Trenino del cuore accompagna il passeggiare lento di signore e giovani madri su viale Capponi. La musica, pop, dei giochi e degli scivoli gonfiabili risuona in lontananza, tra il crepitio dei sassolini e lo sguisciare melmoso del fango percorso dalle biciclette. I cigni nuotano sotto lo sguardo curioso dei bambini e sulle panchine circostanti anziani, bofonchiando, sfogliano i giornali della giornata.

Ma poco più lontano, percorrendo le vie interne, attraversati i ponti al di sopra dei fossi che tratteggiano la pineta, e circumnavigati i locali, eccoli lì, all’ombra degli alberi e nella coltre di foglie e spazzatura, i residui della notte. Ciò che rimane del girovagare di quei quattro in bicicletta, che, probabilmente, dopo i primi e deludenti tentativi, qualcuno che ha ricambiato positivamente i loro sguardi l’hanno incrociato.

È una passeggiata tra erbacce alte ancora non tagliate dagli addetti alla potatura che si sentonolavorare a breve distanza, alberi abbattutti dal maltempo e abbandonati al suolo. Tra cartacce e bottiglie di plastica lasciate nei cespugli e nel verde dei prati dai tanti, tantissimi, avventori che al mare hanno preferito, sì, il fresco della pineta, ma anche la maleducazione al senso civico.

È tra resti di cellophan, alcol e pezzi di vetro che, nascoste, ma nemmen troppo, alla vista distratta dei passanti, sotto le panchine e alle spalle di boutique e circoli, si intravedono siringhe e accendini. In una predisposizione , precisa, allarmante, e che dipinge, e delinea, dall’altra parte dei picnic e delle grida dei bambini al riparo degli alberi, la parte più desolata, e abbandonata, della città.

Daniele Mannocchi

Gaia Parrini