La fuga dei camici bianchi. I posti non sono coperti e i laureandi prediligono scuole di specializzazione

Saranno 12.600 le pensioni dei prossimi 6 anni e 10.174 gli ingressi. Così la medicina generale finisce per essere un campo considerato di serie B.

VERSILIA

Una figura fondamentale, alla cura, alla prevenzione e all’assistenza di pazienti e cittadini. Il primo contatto quando si ha un problema di salute, o anche solo il sospetto di esso.

È il medico di famiglia, indispensabile a diagnosi e terapie, quanto non valorizzato e non adeguatamente formato per rispondere ai bisogni dei pazienti che, in un sistema sanitario in crisi, con finanziamenti sempre più insufficienti e liste d’attesa infinite, sono molte volte obbligati a rivolgersi a privati per visite ed esami. Almeno chi, tra questi, può permetterselo. Perché chi, dall’altra parte, non ha le risorse economiche, rinuncia troppo spesso a curarsi.

In una situazione come questa, il ruolo del medico generale sarebbe fondamentale, come punto di riferimento e soccorso. Se solo si investisse adeguatamente su tale professione, e se ne riconoscesse e promuovesse a pieno la professionalità, soprattutto tra chi si affaccia al mondo del lavoro.

Perché se nei prossimi 6 anni, su 37.860 medici di medicina generale in servizio, 12.600, uno su tre, andranno in pensione, la stima è che ne entreranno 10.174. Entrate che, dunque, non copriranno le uscite. Provocando un accumulo di pazienti in carico, che già si calcolano sui circa 1.399 per medico, e una fuga dei giovani medici.

Proprio i giovani laureandi in Medicina sembrano indirizzati maggiormente a scuole di specializzazioni, piuttosto che ai corsi di formazione triennale per divenire medici di famiglia. Incidente, su questa scelta, senz’altro le scarse opportunità, durante i sei anni di università, di conoscere l’attività del dottore di medicina generale con tirocini o lezioni destinate, e la differenza economica che aleggia, in maniera non indifferente, tra chi frequenta il corso per mmg e chi le specializzazioni. La borsa di studio per divenire medico di famiglia, è difatti di 11mila euro l’anno, con 966 euro al mese soggetti a Irpef e contributi a carico di chi frequenta, senza possibilità di assegno in caso di maternità.

Il compenso per le specializzazioni ospedaliere ammonta invece a 26mila euro l’anno, con contributi inclusi e senza Irpef.

Numeri che parlano, così come quelli, sempre minori, dei candidati ai corsi mmg: se nel 2019 con 1.765 borse di studio c’erano 4 candidati per ogni posto disponibile, nel 2023 con 2.596 posti, dieci Regioni tra cui la Toscana, non sono riuscite a coprirle tutte.

Anche chi decide di intraprendere questo mestiere, è però catapultato in un territorio impoverito e svantaggiato, dal punto di vista strumentale come economico. È una generazione, quella dei giovani medici di famiglia, di liberi professionisti, convinti però di essere destinati a tutti gli svantaggi della libera professione. Secondo il nuovo accordo collettivo nazionale dell’8 febbraio 2024, chi ha meno di 400 pazienti, dunque proprio quegli aspiranti dottori alle prime armi, deve difatti mettersi a disposizione per 38 ore settimanali di guardia medica o attività simili all’Asl, contro le 6 di chi ha già 1.500 pazienti, cioè i più anziani.

In quella che, appare, una disputa tra una generazione avviata alla pensione e una che dovrebbe raccoglierne invece l’eredità.