
Il futuro del Piazzone "La crisi viene da lontano" Ma c’è voglia di rinascita
L’annunciata chiusura dello storico salumificio Lazzarini ha nuovamente puntato i riflettori sulla crisi del Piazzone. Una crisi che viene da lontano. E chi vive il mercato tutti i giorni non respira ottimismo per il futuro. Ne abbiamo parlato con Stefano Lazzarini, che in 40 anni ha visto la trasformazione.
Lazzarini, quando ha inizio la curva discendente del Piazzone?
"Dal 2008. Fino ai primi anni Duemila, seppure con mille difficoltà, continuavamo a lavorare. Il mercato è inserito nel contesto di un mondo che gira e che cambia, e dalla crisi mondiale abbiamo cominciato a perdere pezzi. Senza lavoro, ci si trova di fronte alla necessità di mollare. E non c’è più stato il ricambio che da sempre riguardava sia i negozi che i chioschi: uno vendeva, un altro ne prendeva il posto".
Come mai?
"Perché il piccolo commercio è in sofferenza, soprattutto a causa della grande distribuzione. Il motore di questo mercato era l’alimentare. Si badi bene: non il food, il ’mangia e mordi’, il ’mangia per la strada’ come nelle grandi città, ma l’alimentare vecchia maniera: il pollaiolo, il macellaio, il congelato, le olive di Natale (Barsacchi; ndr). A Viareggio tra piccola, media e grande distribuzione ci saranno sessanta punti di vendita, e questo ha influito. I primi a chiudere, qui, sono stati proprio gli alimentari e le rosticcerie. Un fatto quasi naturale: i clienti si sono spostati. E con meno giro, abbiamo sofferto tutti".
Quante sono state le chiusure?
"Almeno la metà delle attività".
Com’è avvenuto il trapasso?
"Inizialmente, chi ha potuto ha venduto a chi aveva i soldi, quindi per lo più ai cinesi. Ora ne sono rimasti pochi. Me nel frattempo si è interrotta la catena identitaria di chi subentrava al Piazzone, come ho fatto io 40 anni fa comprando il chiosco da mio nonno".
C’è chi ha resistito?
"Il problema è partito dalla loggia centrale. Con il calo del lavoro, determinate persone hanno iniziato a non pagare i canoni per diversi anni. Non mesi, anni".
Il nuovo sindaco però ha raddrizzato la situazione.
"Quando Del Ghingaro è arrivato, giustamente, ha riportato un po’ di legalità. Ha tolto fondi e chioschi a chi non pagava, e spero gli abbia pure chiesto i soldi indietro. Queste realtà facevano concorrenza sleale a chi era in regola".
E per riaffittare i fondi?
"Quando è arrivato il commissario, ha predisposto un piano. Mi risulta che al Suap, a suo tempo, avessero già le domande. A quel tempo, qui c’erano ancora 30, 40 attività operanti tra chioschi e negozi. Poi non se n’è fatto nulla e queste attività se ne sono andate, vuoi per stanchezza, vuoi per nuove strategie legate al propio lavoro, come il Triglia e lo Zoppi. A Del Ghingaro sarebbe bastato firmare il progetto del commissario e saremmo ripartiti con l’acqua alla gola, mentre ora siamo con la testa sotto".
Perché non ha firmato?
"Sembrava sempre che i lavori partissero dall’oggi al domani. Ci hanno fatto tante promesse, ma alla fine nessuno ha fatto nulla".
E il progetto del nuovo Piazzone?
"L’inizio del de profundis. L’amministrazione non si è presa la responsabilità di gestire una piazza della sua città, ma la vuol dare a un privato per 40 anni: non so se esistano cose di questo tipo in Italia o in Europa. Il mutuo per la piscina a Bicchio l’hanno fatto, nonostante una piscina comunale ci sia già. Al Piazzone invece non si vuole investire, e la gente scappa. Oltre tutto, se le cifre degli affitti al privato di cui si parla sono vere, ci saranno una o due attività in gradi di pagarle. Non arriveranno Prada e Valentino".
A settembre è prevista la partenza dei lavori.
"No comment. Dico solo che mancano dieci giorni, e non mi sembra sia tutto risolto".
Daniele Mannocchi